~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

Original Blog -> Nepenthe


- EviLfloWeR -

* photos on flickr *
Lunacy 2 - Lunacy 3 - Lunacy 4
Lunacy 5 - Lunacy 6 - Lunacy 7 - Lunacy 8
Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

sabato 29 ottobre 2011

This heart of mine




“Sono disteso, sveglio, e guardo le tue spalle
muoversi così dolcemente mentre respiri.
Con ogni respiro stai invecchiando
ma va bene se sei con me.





Mi impegno a svegliarti con un sorriso.
Mi impegno a stringerti quando piangi.
Mi impegno ad amarti fino alla morte.
Fino alla morte.





I raggi dell’alba giocano sulle tue palpebre.
Una bellezza addormentata vestita di sole.

Ti sveglierò con un sorriso.
Ti stringerò quando piangerai.
Ti amerò fino alla morte.
Fino alla morte.




Credo a questo mio cuore quando dice ai miei occhi
che questa è la bellezza.
Credo a questo mio cuore quando dice alla mia mente
che questa è la ragione.
Credo a questo mio cuore quando grida al tempo
che questo è per sempre.
Credo a questo mio cuore quando dice ai cieli
che questo è il volto di Dio.

Sono disteso, sveglio, e guardo le tue spalle..”

Paino f Salvation – This Heart of Mine





Trattengo il respiro e ti osservo in silenzio: sei solo un corpo abbandonato nella penombra, un eroe che, deposti i vessilli, riposa al sicuro.

La stanza è ricolma di un buio denso, che scivola lungo le pareti in rivoli d’ombra, e la notte respira lievemente tutto intorno, assorbendo quel poco di luce che resta.
Non so nemmeno se sogni o se hai trovato l’oblio dolce del Nulla. Il sonno cancella spezzoni di vita che nessuno reclama, e la notte inghiotte i pensieri, lasciando la mente sgombra e il cuore rigonfio di nettare di dimenticanza.





Passano ore che nessuno vede, e arriva l’alba, cristallina come il primo raggio di sole che colpisce le palpebre, o torbida come quel lontano sentore di nebbia che appanna le finestre.
E quando ci si sveglia, vien quasi da chiedersi perché debba cominciare un altro giorno, perché il futuro riesca a sembrare così piccolo come lo è l’arco di una giornata che presto passerà, chiudendo un cerchio che porterà nuovamente lì dove tutto è cominciato.





C’è ancora l’impronta calda sul cuscino, ed è l’unica certezza che si possa avere sulla notte passata: la certezza di esser stati lì. Ma tutto il resto è oblio, e quasi sembra di aver perso tempo, di aver smarrito il senso, di non aver vissuto.





Potrei restare ore a guardarti dormire, avvolto da quel sortilegio senza memoria che è il sonno. E penso a quanto sarebbe vana la mia vita se tu non fossi lì, se io rimanessi a fissare il cuscino pensando a tutto il tempo perso, scoprendo che la mia vita è senza significato.
Ecco che l’alba sarebbe una maledizione che non potrei sopportare, e quell’oblio che attende alla fine di ogni giorno diverrebbe mortale.





Ma tu sei lì, a riempire i miei giorni, i miei occhi, il mio cuore. Nel ciclone informe che tutto travolge quando scende la notte, tu sei il centro immobile, l’unico punto certo che posso continuare a fissare senza smarrirmi.





Sei tutto e il contrario di tutto, sempre uguale a te stesso e così mutevole. Ogni secondo vedo scivolarti addosso così tanta vita, che non so come fare ad afferrarla tutta.
E ogni volta che provo a immortalare la tua effige per non dimenticarla mai, vedo i tuoi occhi cambiare colori con nomi che nessuno ha ancora inventato.





E’ un amore incontenibile quello che freme e pulsa da sotto la pelle, che nutre le ossa e le rende più forti, forti abbastanza da sopportare tutto quel che è necessario per avere te.
Mi ha cambiata il tuo amore, ed è stato così improvviso: nel cuore, nella testa, nelle mie responsabilità e in quello che ho voluto essere…in quello che avrei dovuto essere, in quello che sono diventata.
Ti guardo dormire e penso a quante parole ho inventato per raccontarti la verità, a quante lacrime ho respinto per non poterle spiegare, a quanti “no” involontari ti ho gridato ogni volta che avrei voluto dirti di sì.





L’ho promesso, davanti alle stelle che risplendono, davanti alle lacrime di gioia o dolore che mi doni, ho giurato di respirare soltanto per te, qui, adesso, davanti ai tuoi occhi chiusi.


mercoledì 26 ottobre 2011

The Perfect Element

- La poesia è la fotografia dei ciechi, la fotografia è la poesia della luce. -




Sono nata un po’ come tanti per pura casualità, il 6 marzo del 1975 a Roma.
È stato proprio il "caso" il primo maestro che mi ha insegnato a trovare, nel suo caos, la mia identità.

Fino ai due anni e mezzo son stata cicciottella lo ammetto, dopo di che forse ho capito qualcosa in più... la vita non è fatta solo di pappette e carrillon, di passati di pollo con verdure, latte e biscotti, ma di un passato che già iniziava a fornire informazioni per la memoria.
Così ho iniziato a dimagrire, tanto divenivo esile quanto cresceva la mia timidezza verso gli altri.
Inutile raccontare la storia dei denti da latte, la loro caduta, i giochi e le malinconie che si nascondono dietro ogni bambino che mangia un gelato.
(...)





Riuscii a tenere duro e m’ iscrissi al Primo Liceo Artistico di via Ripetta, una tra le più "maledette" scuole romane.
Proprio lì son rinata.
Mi sono partorita a 14 anni, ho ricominciato d’accapo.
Così iniziò anche per me il periodo della contestazione, dei conflitti esistenziali, della formazione, in uno spazio culturale che mi piaceva e mi assomigliava.





Ho conosciuto Guelfo, artista surreale e maestro dadaista, il prof. Latini amante dell’architettura e il signor Oriolo, docente di matematica che usava la filosofia per darci lezioni di algebra.
Finalmente ho iniziato ad usare occhi e mani come strumenti creativi della mente, ho cominciato a sporcare i colori con la mia immaginazione e amare definitivamente l’Arte di fare.
Tutto questo è stato il principio della mia salvezza, l’origine del mio tormento.





Amavo via Ripetta, è un crocevia di persone, ogni giorno trafficata da artisti affermati, studenti, medici, malati che andavano uscivano dall’ospedale S.Giacomo, matti del dipartimento di salute mentale, insegnanti, turisti, modelle e tutto questo era diventato il mio mondo, la piazza Ferro di Cavallo l’utero della mia fantasia.

La luce che illuminò quegli anni impressionò le mie prime fotografie.
Le giornate erano piene nell’osservazione delle tante facce, con quei corpi variopinti che raccontavano ognuna, storie diverse.
Tra segni e gesti disegnai la città, scoprendo le sue ombre, scomponendo le architetture e spogliando statue e corpi dal loro contesto, osservando gli oggetti che si animavano, messi li in posa, per essere usati, mostrati, venduti, rifiutati.
Viviamo nel secolo delle "cose". Questa mobilità forse fu la vera scuola.
L’idea del mio sguardo fotografico si misura spesso nello spazio-tempo di una camminata perché un paesaggio è sempre un passaggio, una relazione fra assenze e presenze, fra luci e ombre.





Finito il liceo, ho camminato 10 metri e sono entrata al corso di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Roma.
La scenografia, fu un mezzo per rendere le mie intuizioni più sofisticate, stimolando la creatività a confrontarsi con lo spazio, non solo quello scenico, ma anche la composizione plastica, la costruzione geometriaca, la tridimenzionalità, l’interpretazione e così la musica, i testi teatrali, la simbologia della luce.
Realizzai le mie prime scenografie teatrali, finita l’accademia lasciai che fosse la vita ad insegnarmi quel che doveva.
Strade oggetti paesaggi, tante facce, molte ombre si son messe in posa davanti e dietro un mio clic.
Il teatro è ovunque.





Le gambe hanno portato a spasso la mia curiosità, la strada ha accolto aggredito la mia sensibilità, è così che ho cominciato a fotografare.
Fra i tanti locali della capitale, mi ritrovai a lavorare al Nabel Art Cafè, una tra le poche associazioni che si occupavano veramente di cultura, collaborai nella gestione per un anno circa.
Proprio li conobbi pittori, attori, musicisti, cantautori della nuova e vecchia generazione, ma fra tutti l’incontro più importante e significativo fu con Vito Riviello.

Vito poeta anche nella vita e non solo su carta, si fermò a scambiare due chiacchiere con me, nacque subito un’intesa, anche se dopo quella sera, passarono sei anni prima di rincontrarsi.
La realtà è più complessa di un qualsiasi marchingegno sofisticato, l’arte sta nello svelarla e codificarla.
Ho lavorato come scenografa, a volte costumista, con alcune compagnie teatrali romane. Sempre nel ramo della scenografia ho lavorato con il cinema.





Nel 2002 iniziai a frequentare La Camera Verde (ex Fotogramma), un posto prezioso per la storia della fotografia italiana, decisi che proprio lì avrei potuto fare la mia prima e importante mostra personale.
19 fotografie guidate dalla progressione dell’ora di un giorno qualsiasi, il nome della mostra fu Terra di Nessuno, con un sottotitolo che diceva: "La guerra c’è non la dobbiamo fare".
Con la Camera Verde iniziarono varie collaborazioni, un periodo fertile, partecipai a innumerevoli esposizioni collettive, dove furono editate molte delle mie fotografie. La Camera Verde fu anche un motivo di confronto con abili artisti, fotografi e pittori come, Zeno Tentella, Alfredo Anzellini, Gianni Cortellessa, Francesca Vitale, Giovanni Cozzani ed altri.
Arte genera Arte.

La geometria ha sempre seguito il mio occhio, si è messa al servizio della natura delle cose, io non ho fatto altro che guardarla, scomporla, dimezzarla e capovolgere il punto di vista della geo-metrica inquadratura.
Ogni volta la fotografia si confronta con l’attimo, proprio in quell’istante l’eternità che lavora con tempo e luce, cattura la velocità delle percezioni e impressionando pellicole e carte, si bagna negli acidi, così si rivela uno sguardo.





Ho fatto anche la modella per l’arte, è stata un’esperienza importante perché io stessa, il mio corpo , il movimento creativo si è fatto immagine.
Mi son fatta impressionare dalla luce, ho permesso che il mio corpo fosse preso dalla dai colori, ho immaginato il mirino dello scatto e viaggiato in libertà dentro l’inquadratura. Sono diventata fotografia.


Finalmente nel 2005 mi fu commissionato un libro fotografico dalla Camera Verde un lavoro sulla Praga di Kafka.
Andai a Praga m’ immersi nella città.
Il mio occhio evocò Frank Kafka, i personaggi e il mondo dei sui racconti.
Mille volte lasciai che la suggestione salisse sorprendendomi in ogni strada.
Finalmente la letteratura entrava a far parte della fotografia e la contaminazione delle arti, la multidisciplinarità delle forme espressive, che mi ha sempre appassionato, diventava una realtà. (...)


di: Giuliana Laportella


lunedì 24 ottobre 2011

Second Love

- We are eleven and she is the love of my life
But one week from now she will turn her back on me
Four years from now she will give me hope, then sleep with my best friend
Five years from now it is the two of us but by then there is nothing
left of this aching love amd this soaring love.
But I don’t know that now
Because we are eleven and she is the love of my life. -



"Day after day
Nothing’s changed you’re far away
But I need you to know that I can’t sleep anymore
By the nights
Night after night
The stars are shining so bright
Though our pain is larger than the universe tonight

I want you to know I can’t sleep anymore
By the nights
By the nights
Day after day I want you to say
That you’re mine
You are mine

Year after year
Tear after tear
I feel like my heart will break in two
You came like a wind I couldn’t defend
You cut my heart so deeply
The scars won’t mend

I’ll never believe in love anymore
After this
After this
Can never change or rearrange
What we lost
What we lost

Time after time
I am wasting my time
Living in a past where I was strong
But now I am gone
I leave no shadow when I’m alone
I’ll stay forever in my dreams where you are near

Want you to know I can’t sleep anymore
By the nights
By the nights
Day after day I want you to say
That you’re mine
You’re mine."






Abbiamo vent’anni e lui è l’amore della mia vita. Ma fra qualche tempo girerò le spalle ai miei sogni e distruggerò i desideri.

Abbiamo vent’anni e viviamo una favola, ma non avremo vent’anni per sempre e a sette anni da oggi le uniche favole che ci resteranno saranno quelle di libri ingialliti chiusi in un cassetto.

Abbiamo vent’anni, tutto viaggia più lento nell’universo: passerà un’eternità prima che le stelle sappiano di noi.

Ma adesso abbiamo ancora vent’anni, e anch’io non so niente di tutto questo.

..I’ll never believe in love anymore
After this
After this..


Ho vent’anni e sono convinta che non amerò mai più così in tutta la mia vita.
Ho ventisette anni…e contemplo silenziosamente le reliquie di quando ne avevo sette di meno.

Per quanto si provi a seppellire l’amore, è impossibile impedirgli di rinascere. Ma forse è solo te che ho seppellito, perché soltanto alla morte posso assimilare la crudeltà del non poter essere mai più.

A volte cammino sui tuoi passi e li sento scricchiolare con discrezione, così che posso andare avanti senza inciampare.
E ora, nelle catacombe che porto dentro, insieme ai resti del tuo cadavere, i posti sono tutti al completo.


Second love…
I can sleep by the nights.
You are still mine, but I can love..
Once more.
Once more.






- Chiudo la porta alle spalle, e penso ancora che quella sia la più perfetta immagine di me. -

giovedì 20 ottobre 2011

if I could fix myself

Non è difficile prendersi cura di un’ombra. Ha la semplicità monocroma di un lago notturno, che per quanto sia sfuggente nelle sue sponde mutevoli, ha un placido cuore nero adagiato nella culla del suo tranquillo stagnare.
Ha bisogno di poche cose un’ombra. Spesso è abbastanza semplice da essere quasi banale, così banale da diventare incomprensibile.

No, non è difficile prendersene cura. Il difficile viene prima: bisogna trovarla, ed è una questione molto meno scontata.
Scorgere un’ombra nel marasma informe del buio è cosa da temerari. Le stelle più brillanti le vogliono tutti, le ombre no.
E con quanta arrogante determinazione la gente si ostina a trovar bella soltanto la luce. Le ombre sanno essere così profonde, perché nessuno se ne accorge?

Una volta qualcuno si è inoltrato in terreni impervi e sconosciuti, e forse un po’ per caso, o forse un po’ per merito, quell’ombra nascosta tanto bene è riuscito a trovarla.
E l’ha presa per mano, semplicemente.
Perché non c’è bisogno d’altro per prendersene cura: basta non perderla di vista e stringerla forte, così forte che quasi diventa la propria ombra.

Un tempo ho scelto di ricordarmene, e quel simbolo l’ho voluto alle spalle, come qualcosa di rassicurante e protettivo. Un custode silenzioso che si preoccupava di vegliare proprio lì dove io non riuscivo a vedere.
Il mio custode delle ombre, quelle ombre che si nascondono dall’altra parte degli astri più lucenti.

A distanza di tempo mi chiedo se lo facciano apposta le cose ad assumere significati diversi, tutti in egual modo valevoli, man mano che l’esistenza evolve e si trasforma. Quel che un tempo vegliava, ergendosi a simbolo di una luce nelle tenebre, è adesso tornato all’essenza sua originaria: un’ombra alle spalle.
Un’ombra che svanisce inesorabilmente con il tempo, ma che non dimentica il giorno in cui qualcuno l’ha trovata. E se scompare non è perché si perde, ma perché si nasconde sotto la pelle che si è fatta suo mausoleo.

Non sono nostalgica, né disfattista, né pessimista riguardo al presente o al futuro. Né lamento alcunché o desidero cose che più mi appartengono.
Voglio solo ricordarmi di Lei, perché ogni tanto sento la sua voce, anche se nell’oscurità io da sola non riesco mai a trovarla.



"Lei brilla in un mondo pieno di mostruosità.
Lei è importante quando tutto il resto è senza senso.

Fragile.
Non vede la sua bellezza.
Cerca di scappare via.
A volte nulla sembra meritare d’esser salvato.
Non posso guardarla scivolare via.

- Non ti lascerò andare in pezzi. -

Lei legge le menti di tutte le persone che le passano accanto
Sperando che qualcuno riesca a vedere.
Se solo potessi aggiustare me stesso, io..
Ma è troppo tardi per me.


- Non ti lascerò andare in pezzi. -

Troveremo un posto perfetto dove andare,
in cui potremo correre e nasconderci.
Costruirò un muro e potremo tenerci dall’altra parte.
Ma loro continueranno ad aspettare..
..e a picconare…
..e picconare..
..picconare..

È qualcosa che devo fare.
Ero lì anch’io.
Prima di qualsiasi altra cosa,
io ero come te."



- Non ti lascerò andare in pezzi. -

Nine inch nails - The fragile

martedì 18 ottobre 2011

Beside you in time



"Sono ubriaca.
Sono così innamorata di te.

E non voglio pensare troppo a quello
che dovremmo o non dovremmo fare.

Lascia che posi le mie mani sul paradiso, il sole, la luna e le stelle.
Mentre il diavolo vuole scopare con me sul sedile posteriore della sua auto.

Niente in confronto a come ci si sente
quando si prova qualcosa di nuovo.

Forse sono del tutto incasinata.
Forse sono del tutto incasinata.

Questa è l’unica volta in cui mi sento davvero viva.

Lo giuro,
ho appena trovato tutto ciò di cui ho bisogno.

Il sudore nei tuoi occhi e il sangue nelle tue vene mi stanno ascoltando.
Voglio ubriacarmene e nuotarci dentro fino ad annnegare.
Il mio buon senso sta andando a farsi fottere.

Niente in confronto a come ci si sente quando si prova qualcosa di nuovo.
Forse sono del tutto incasinata.
Forse sono del tutto incasinata.

Questa è l’unica volta in cui mi sento davvero viva."


Nin - The Only Time




(F. Von Stuck – Il Peccato)


"…quella flessuosa freddezza del serpente che si insinua sul corpo bianco latteo della donna, la tremenda progenitrice, che attende immobile e in silenzio con uno sguardo che emerge dall’oscurità che si accende diabolico nel lampo torbido degli occhi.”

Candore lunare e profonda oscurità avvolgente delineano con pari indeterminatezza le forme che suggeriscono quel volto misterioso e il suo sguardo ipnotico.
Donna decadente e maledetta, che fissa l’osservatore con tutta l’intransigente sicurezza di chi si erge maestoso tra le ombre, senza affatto temerle.




venerdì 14 ottobre 2011

first




“Il tuo crudele piano
il tuo sangue, come ghiaccio
uno sguardo potrebbe uccidere
il mio dolore, il tuo fremito





voglio amarti
ma è meglio che non ti tocchi

voglio possederti
ma i miei sensi mi dicono di fermarmi

voglio baciarti
ma lo voglio troppo

voglio assaporarti
ma le tue labbra sono temibile veleno

sei veleno che scorre nelle mie vene
sei veleno
non voglio giocare a questi giochi





la tua bocca così calda
la tua trappola, sono stato preso
la tua pelle, così umida
nero pizzo, sul sudore

sento che mi chiami e sto sulle spine
voglio farti del male solo per sentirti urlare il mio nome

non voglio toccarti ma tu sei sotto la mia pelle, nel profondo
voglio assaporarti ma le tue labbra sono temibile veleno





sei veleno che scorre nelle mie vene
sei veleno
non voglio rompere queste catene
sei veleno.

(Alice Cooper - Poison)





La prima dedica che mi hai fatto tempo fa.
Il primo concerto insieme.
La prima volta che vinco qualcosa.





Corrispondenze e casualità non possono coincidere.
Ma è la prima volta che per prima ammetto che così doveva essere.
La prima volta che se rido in faccia al destino non è sarcasmo ma felicità.





Non mi oppongo più né al fato né al caso, da quando per la prima volta ci sei tu a rendere uniche e irrinunciabili queste innumerevoli prime volte, attraverso le quali riscopro il mondo con occhi nuovi.



~ poison within ~

mercoledì 12 ottobre 2011

Nel disordine celeste





Non ho bisogno di tempo
per sapere come sei:
conoscersi è luce improvvisa.
Chi ti potrà conoscere là dove taci
o nelle ore in cui tu taci?

Chi ti cerchi nella vita
che stai vivendo, non sa
di te che allusioni,
pretesti in cui ti nascondi. [...] Io no.





Ti ho conosciuto nella tempesta.
Ti ho conosciuto, improvviso,
in quello squarcio brutale
di tenebra e luce,
dove si rivela il fondo
che sfugge al giorno e alla notte.

Ti ho visto, mi hai visto ed ora [...]
sei così anticamente mio
da tanto tempo ti conosco
che nel tuo amore chiudo gli occhi
e procedo senza errare,
alla cieca, senza chiedere nulla
a quella luce lenta e sicura...


***




Tu vivi sempre nei tuoi atti.
Con la punta delle dita
sfiori il mondo, gli strappi
aurore, trionfi, colori,
allegrie: è la tua musica.
La vita è ciò che tu suoni.

Dai tuoi occhi solamente
emana la luce che guida
i tuoi passi. Cammini
fra ciò che vedi. Soltanto.





E se un dubbio ti fa cenno
a diecimila chilometri,
abbandoni tutto, ti lanci
su prore, su ali,
sei subito lì; con i baci,
coi denti lo laceri:
non è più dubbio.





Tu mai puoi dubitare.
Perché tu hai capovolto
i misteri. E i tuoi enigmi,
ciò che mai potrai capire,
sono le cose più chiare […]

E mai ti sei sbagliato,
solo una volta, una notte
che t’invaghisti di un’ombra
- l’unica che ti è piaciuta -
Un’ombra pareva.
E volesti abbracciarla.
Ed ero io.


***




Che allegria, vivere
e sentirsi vissuta.
Arrendersi alla grande certezza, oscuramente,
che un altro essere, fuori di me,
molto lontano, mi sta vivendo. [...]





E quando mi parlerà
di un cielo scuro, di un paesaggio bianco,
ricorderò stelle che non ho visto, che lui guardava,
e neve che nevicava nel suo cielo.

***

(P. Salinas – La Voce a Te dovuta)

lunedì 10 ottobre 2011

Passatempo

sabato 24 settembre 2011

Nel mio cuore non c’è posto per te
e nella mia mente non c’è spazio per te.
L’uscita si è già dissolta
e ora non c’è più nulla da dire.






A volte capita di dimenticare di liberarsi persino dei rifiuti.

Pulizie d’autunno. Definitive.



Per non dimenticare:

- some months ago -


(una volpe smarrita e brandelli di fantasmi)


Sospesa in bilico tra l’inferno e il paradiso, con le ali in fiamme e le catene alle caviglie, cerco di convincere me stessa che è necessario lanciarmi da qualche parte, dove non importa: ho soltanto bisogno di precipitare.

So che nulla è reale, nulla di ciò che mi ha fatto provare l’estasi e l’ebbrezza dei sensi può durare, anche se le sensazioni restano latenti sotto la pelle, prudono nel tentativo di uscire, cercano una via mischiandosi al sangue, e pervadendo ogni centimetro del mio corpo diventano sempre più enormi, ingigantite, insopportabili.

Lui è dappertutto, è nella mia mente. Ma lui è un’illusione, e sono perfettamente consapevole del fatto che quello che mi ha dato era solo un riflesso sbiadito di desideri individuali. Tutto nella mia mente. Ma quella sensazione che attanaglia lo stomaco è reale, ed è così intensa da generare un dolore che non sembra potersi estinguere mai.

Non si estingue, nonostante le lacrime abbiano reso gli occhi stanchi e incapaci di vedere la luce, perché la luce brucia come un tizzone incandescente, e quel che rimane da vedere non è abbastanza rassicurante da valere lo sforzo di lasciar incendiare le retine al contatto con la realtà.

Penso a lui che non se ne andrà mai da qui, che porterò sempre dentro di me come un gemello abortito, come una parte necessaria alla mia esistenza che ho volutamente soppresso e ferito.
E la verità è che non riesco nemmeno a parlare di lui, non riesco a urlare per lui, non riesco nemmeno a pensare seriamente che ora sono ancora io, ma senza di lui. Forse perché in fin dei conti non è più vero che sono ancora io.

Non volevo parlare di lui, non riesco realmente a parlare di lui, ci giro solo intorno con le parole e mi graffio il cuore nel tentativo di risultare più credibile. Ma non posso essere credibile, perché io l’ho ucciso.




(Potere del subconscio: evitare l’unica cosa che davvero fa male creandosi illusioni peggiori.)


“Sei tu, mi piace perché sei tu.”
Te l’ho scritto quella notte mentre ascoltavo le tue canzoni e guidavo verso l’alba, piangendo come una stupida che presagisce già il peggio destinato a venire. Nessuna risposta ovviamente, tu non rispondevi già più, eppure lo so che hai capito.
Quella che avrebbe dovuto capirlo prima, purtroppo, sono io. Come ho fatto ad essere così cieca? Lo sei sempre stato, era tutto davanti ai miei occhi ma io non volevo vedere.

Abbiamo colmato i vuoti, ammazzato il tempo, mischiato finzione e realtà. Ma in quella malattia che era diventata bisogno non ci poteva essere che illusione e follia. Sei sempre stato come sabbie mobili, inafferrabile e rinchiuso nel tuo mondo dove c’è posto soltanto per te.

Vorrei che avessi avuto le palle di non fare lo splendido e calare la maschera molto tempo fa. Avrei amato anche lo schifo di te, avrei accettato i compromessi e compreso entro quali argini muovermi.
Invece hai lasciato che la mia mente si espandesse, hai lasciato che la bugia diventasse così enorme da non essere più digeribile in alcun modo.

E adesso non c’è più nulla da dire, hai chiuso la porta, sbarrato l’uscita. Io sono fuori da qualunque cosa.
Usabile, sacrificabile, facile da gettare e ignorare. Sapevi quanto ero fragile, sapevi tutto, e te ne sei fregato.
Come può non essere malato il bisogno di una persona così spregevole?

Non è il tempo che va ucciso, ma l’idea perversa di poter trovare la luce dove invece c’è solo un’immensa voragine nera. Non hai mai avuto nessuna luce, era tutto nella mia testa, solo nella mia testa.

E se c’è una voragine dentro di me, quella voragine che tu riempivi, la soluzione non è fagocitarti e trattenerti in me.
Mi tengo la voragine, mi tengo il vuoto, mi tengo il tuo ricordo che fa male, il sapore in bocca dei tuoi baci fasulli, la consapevolezza di aver sbagliato. Mi hai inferto il colpo mortale, mi hai lasciata a terra esausta e svuotata di tutto quello che ho sempre voluto darti.

Non vali niente, lo so bene, non ho amato altro che un’idea nella mia mente, e non sarò mai più così stupida da lasciarmi pugnalare alle spalle da chi non merita nemmeno un briciolo delle mie attenzioni.
Ma quel che mi hai fatto mi ha segnata, e dio solo sa quanto ti odio per questo, quanto ti odio a tal punto che potrei amarti di nuovo.

Ma mi fai schifo, e dall’orlo di quella voragine rimarrò ad osservare da sola il vuoto che mi resta, il trauma che m’hai lasciato, la paura di caderci di nuovo.
Un giorno capirò con cosa la devo riempire, e allora rimarrà una fossa là sotto, una fossa per te, senza lapidi e vessilli, colma solo di veleno e di promesse dimenticate.



Quel momento è arrivato.
Requiescat in pacem.

giovedì 6 ottobre 2011

C'è del metodo in questa follia





La notte era serena e placida, accogliente nella sua calotta scura trapuntata di piccole luci, e coronata da una luna argentea che, adagiata stancamente tra le nubi nel cielo, sfoggiava un maliardo sorriso stregato.
Lo sguardo della ragazza, stanco e velato di una remota nostalgia, si lasciava catturare perdendosi in lontananza, accarezzando le stelle distanti, mentre sussurri rotti da lunghi silenzi si dissolvevano nella quiete notturna.

Tutto era silenzioso nel parco avvolto dalla mite calma dell’autunno, persino gli uccelli notturni sembravano non voler disturbare il prodigio muto delle foglie dorate, che volteggiando nel buio si univano alla terra, per morirvi con indescrivibile incanto nell’indifferenza di tutto il resto.
Foglie cadenti, danzatrici folli, frammenti di tempo sparpagliati, come battiti di ciglia nell’arco dell’esistenza effimera di una fiamma nel vento; premonizioni del grigiore invernale che sarebbe arrivato, strisciando sulla terra non più verde, ammantando di rugiada e gelo ciò che sarebbe sopravvissuto.

“Quasi non sento freddo” – si ripeteva, stringendosi debolmente nelle spalle e lasciando correre un piacevole brivido lungo la schiena. Guardava la sua scura sagoma imponente che le camminava a fianco, solo debolmente illuminata da lontane luci artificiali, eppure lo vedeva circonfuso di luce, ricolmo di calore, ammantato di tutte le stelle che non aveva mai avuto.
E nemmeno si accorgeva che da troppo tempo lo guardava non con gli occhi ma col cuore.

Risate leggere vibravano nell’aria, e i rumori della città in lontananza riuscivano a coprire solo marginalmente, con la loro pesantezza plumbea, quella cristallina sensazione di brezza leggera e risanatrice che lui le donava, estinguendo la sete con fiumi di miele e nascondendo l’oblio con fontane di luce.

Camminava senza pensieri e senza appigli con il mondo, con l’unica certezza di avere un’altra mano nella sua. E la garbata insistenza con cui la realtà cercava di riportarla a cose concrete non aveva voce sufficiente per distogliere il suo sguardo dalle stelle.
“Mi chiedo se anche adesso lassù tra le stelle domini un profondo silenzio, e se quando la luna compare di tanto in tanto, solitaria, a decidere se sia luce o ci colgano invece le tenebre, tutto taccia al suo cospetto, e ci sia come un immenso Nulla ammantato di silenzio..”

Mentre reclinava il capo verso l’immensità che li sovrastava, si rese conto che non aveva più domande alle quali avrebbe voluto risposte.
Capì solo in quell’istante che non aveva bisogno di nulla che fosse altro da quel corpo inglobato nel suo, e che i sospiri annegati nei suoi sospiri potevano generare un uragano impetuoso, che avrebbe potuto spazzare via tutte le stelle.

Perché le stelle adesso non erano più mute né distanti né immote: erano tutte impazzite e vorticavano furiose nel cielo, schiantandosi nel profondo dei suoi occhi incapaci di chiudersi, bramosi di lasciarsi divorare da quello spettacolo dionisiaco.
“Annientami, uccidimi, calpestami. Tutto entra dentro e mi invade come ha sempre fatto, tutto travolge e dilania, ma io non ho più paura.” – Avrebbe voluto urlarlo al cosmo intero, e forse il suo sguardo lo fece, al posto della sua bocca troppo avida di lui.

Qualsiasi parola collassava su sé stessa nel tentativo di dare significato a qualcosa di troppo grande. Eppure percepiva così chiaramente il significato di tutto, si sentiva compiuta, completa, libera nella morsa della più dura catena. Tutto aveva così meravigliosamente senso…solo in quel momento.

Sarebbe potuta essere qualunque ora, in cielo o in terra, tra le stelle o nel fango. Sarebbe potuto esser giorno o notte, gelo o tepore, vita o morte: qualsiasi paradosso sarebbe impallidito davanti alla meraviglia di un Desiderio realizzato nell’unione di due fiamme che, abbracciate, ardevano insieme.
“Amami, amami e basta.”

In fin dei conti erano parole così semplici, e per la prima volta in vita sua non ebbe invidia delle stelle.
Lei e lui: in quel momento erano una meraviglia ben più grande.






...come scie di stelle infrante...


"La strana intimità di quelle due rotaie. 
La certezza di non incontrarsi mai. 
L’ostinazione con cui continuano a corrersi a fianco."
(A. Baricco)


martedì 4 ottobre 2011

pierce the heart





"Essere o non essere, questo è il problema.
È forse più nobile soffrire, nell’intimo del proprio spirito, le pietre e i dardi scagliati dall’oltraggiosa fortuna, o imbracciar l’armi, invece, contro il mare delle afflizioni, e, combattendo contro di esse metter loro una fine?





Morire, dormire. Nient’altro. E con quel sonno poter calmare i dolorosi battiti del cuore, e le mille offese naturali di cui è erede la carne!
Quest’è una conclusione da desiderarsi devotamente.
Morire, dormire. Dormire, forse sognare.





È proprio qui l’ostacolo; perché in quel sonno di morte, tutti i sogni che possan sopraggiungere quando noi ci siamo liberati dal tumulto, dal viluppo di questa vita mortale, dovranno indurci a riflettere.





È proprio questo scrupolo a dare alla sventura una vita così lunga!
Perché, chi sarebbe capace di sopportare le frustate e le irrisioni del secolo, i torti dell’oppressore, gli oltraggi dei superbi, le sofferenze dell’amore non corrisposto, gli indugi della legge, l’insolenza dei potenti e lo scherno che il merito paziente riceve dagli indegni, se potesse egli stesso dare a se stesso la propria quietanza con un nudo pugnale?





Chi s’adatterebbe a portar cariche, a gèmere e sudare sotto il peso d’una vita grama, se non fosse che la paura di qualcosa dopo la morte - quel territorio inesplorato dal cui confine non torna indietro nessun viaggiatore - confonde e rende perplessa la volontà, e ci persuade a sopportare i malanni che già soffriamo piuttosto che accorrere verso altri dei quali ancor non sappiamo nulla.





A questo modo, tutti ci rende vili la coscienza, e l’incarnato naturale della risoluzione è reso malsano dalla pallida tinta del pensiero, e imprese di gran momento e conseguenza, devìano per questo scrupolo le loro correnti, e perdono il nome d’azione."


(Amleto - atto III, scena I)





Guariscimi adesso.
Rimuovi queste vecchie cicatrici dalla mia anima.
Guariscimi adesso.
Scardina questa pelle secca dalle mie ossa.





E anche se non posso dimenticare tutte le volte che ho pianto.
E anche se non posso perdonare tutte le volte che sono morto.
Sto guarendo adesso.
E ancora scalcio a pedate la polvere da questa strada.





E sono ancora vivo.
Solo un po’ meno di prima.

Guariscimi adesso.
E lava via queste vecchie impronte dalla mia strada.
Guariscimi adesso.
Questo prodigio è invecchiato camminando.





Sto guarendo adesso.
E sto cercando di trovare la mia strada verso casa.
E sono ancora vivo.





E ho giusto pensato che dovresti saperlo.
Che forse piangerò.
E forse morirò.
Ma per adesso sono ancora vivo.





Solo un po’ meno di prima.
Solo un po’ meno..
Solo un po’ meno di prima.






Pain of Salvation - Healing now