~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

Original Blog -> Nepenthe


- EviLfloWeR -

* photos on flickr *
Lunacy 2 - Lunacy 3 - Lunacy 4
Lunacy 5 - Lunacy 6 - Lunacy 7 - Lunacy 8
Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

lunedì 31 dicembre 2012

solo un’altra spina nella mia corona



Finalmente un giorno per respirare: l’aggiornamento furioso del blog era obbligatorio. Mi sarebbe dispiaciuto parecchio non trovare neanche un ritaglio di tempo per fermarmi a scrivere prima di questa nuova fine, invece mi godo il giorno di riposo e ne approfitto per alleggerire la mente scrivendo tutto quello che mi passa per la testa.



Una nuova fine arriva senza che nulla inizi, ma io sono una nostalgica e un’amante delle ricorrenze, così non posso fare a meno di piantare un ulteriore vessillo sul mio calendario recitando un mesto requiem.



Ricordo che quando ero molto piccola mia madre mi ha letto, o forse raccontato, una storiella sul vecchio signore ricurvo per il pesante fardello del tempo che portava sulle spalle, e il giovane fanciullo allegro e spensierato che arrivava in suo soccorso per prenderne il posto.
Ero una bambina molto impressionabile, e ricordo che quel tardo pomeriggio sono stata ore alla finestra a fissare il giardino avvolto dal grigiore della nebbia, attendendo di veder passare un vecchietto che si portasse via l’anno finito.
Mi ero messa in testa che se l’avessi visto mi sarei precipitata a chiedergli se voleva che l’anno nuovo me lo prendessi io. Del resto ero così piccola e ingenua che avevo la convinzione di dover dominare il mondo, prima o poi.



La tradizione mi impone di fermarmi a scrivere ogni 31 dicembre. Le pagine di anni fa sono piene di buoni propositi, molto più di quanto lo siano le recenti. Negli ultimi anni mi soffermo maggiormente sul passato, indugiando con nostalgia o anche solo con un senso di quieta accettazione su quel che mi è accaduto, piuttosto che volgermi al futuro per avanzare una qualsiasi richiesta.
Non mi aspetto molto dal domani. Il presente mi spaventa per molti versi, e il futuro mi sembra quanto di più grigio io possa immaginare. Ma mi rendo conto che sono pensieri dettati da esigenze concrete e preoccupazioni pratiche, e mi par quasi di sentire una vocina provenire da un evanescente fanciullo biondo che abita su una stella che mi domanda se ricordo ancora quali sono le cose veramente importanti.



Sì, me lo ricordo, e non ho smesso di guardare le stelle, né la luna, né la fune su cui danza Neve.
Sono convinta di aver vissuto esperienze stupende, di aver sfiorato la felicità molte volte in vita mia. Penso che la vita possa ancora sorprendermi, ma sono molto meno affamata e determinata di prima.
Apprezzo infinitamente il benessere quotidiano, quello star bene con poche cose, quella serenità della quale si riesce ad esser estremamente fieri la sera, dopo una giornata filata più o meno liscia, quando posso finalmente conquistarmi qualche abbraccio e la tranquillità della mia “famiglia”.
Non cerco più di esser felice, semplicemente serena, libera il più possibile da preoccupazioni.



Ma quante bolle di sapone ho soffiato verso il cielo con la promessa un giorno di provare a raggiungerle? Vorrei sperare che ci sia ancora qualcosa di grande da conquistare, qualcosa di meraviglioso e inaspettato che attende alle soglie di questo nuovo anno.
Ma non riesco ad andare oltre al pensiero di oggi o della settimana seguente, degli orari che devo ricordarmi e degli impegni che devo incastrare nel pochissimo tempo libero.



Ogni tanto, mentre sono in tram o per strada, costruisco nella mia mente le storie che vorrei scrivere. Si sviluppano sempre di più e le idee continuano a frullarmi in testa, ma poi il tempo passa e non c’è mai modo di concretizzare nulla, e allora mi chiedo a cosa serve aver grandi propositi se poi non riesco a realizzare nemmeno il mio più antico e semplice volere?



No, non mi aspetto niente da questo 2013. L’unico desiderio che sento realmente mio è quello di trovare un lavoro decente appena finirà questo contratto, e riuscire a vivere degnamente.
La me stessa di anche solo due anni fa sarebbe infinitamente triste se leggesse questo post. Ma non lo farà, lei è sepolta sotto la neve.



E del 2012 cosa dire? Se mi faccio due conti devo ammettere che è stato un anno proficuo: mi sono laureata, ho anche trovato un lavoretto temporaneo nonostante la crisi nera, sono riuscita a vedere finalmente il nord.
Cose eclatanti a parte, non posso lamentarmi anche del resto: continuo a vivere con l’uomo che amo riuscendo a uscire dai periodi più neri, ho trovato la mia strada e la mia felicità quotidiana in tutto quello che ci siamo costruiti insieme.
Le amicizie storiche sono ancora lì, ho passato momenti stupendi anche in quest’anno con gli amici di sempre, e forse con alcuni sono comunque sempre troppo poche le occasioni di stare insieme. E poi ci sono le persone nuove, le nuove compagnie, le nuove conoscenze. Persino grazie al lavoro ho trovato una persona che valeva decisamente la pena conoscere. Non posso lamentarmi, questo è certo.



Cosa direi se affacciandomi alla finestra ora vedessi passare quel vecchio ricurvo, che stancamente si trascina sotto il peso dei mesi ricolmi di tutte le nostre esistenze, per andare a morire da qualche parte lontano?
Forse rimarrei a guardarlo tristemente, soffocando la vaga sensazione di capire perfettamente cosa si prova ad avere tutto quel peso addosso.



Sono ancora sul mio sentiero del rimedio. Ho riattraversato i ponti che avevo bruciato, ho rivissuto le favole spogliandole della loro purezza, ho combattuto quella che ero per poter continuare a camminare. Ho svoltato e se mi guardo indietro non so più come tornare sui miei passi: sono oltre il limite (Beyond the pale).




Pain of Salvation - Beyond The Pale

(parafrasando...)

Il sangue, la lussuria, i corpi che colorano il mondo: sono tutte droghe per cui morire.
Non vorresti condividere il mio fuoco?
Come può l’amore rendere questo mondo un campo minato di terreni proibiti?
Una mappa di pelle intoccabile e di desideri taciuti?

E l’amore era lì in vano, intenso e profondo ma segnato dal dolore.
Amando il puro e il sano, cercavo la dea senza macchia -per poi vederla tornare carne-
affamata sia per la purezza che per il peccato.
Sono sempre stata molto più umana di quanto avrei voluto essere,
ma c’è una logica in questo mondo, se loro la potessi vedere...

Qualcuno calmi questa fame (è nel mio sangue) che cresce sempre di più (martallante).
Io sto imparando, tu mi stai bruciando!
Questo non è ciò che avrei voluto essere, questo non è ciò che avrei voluto vedere.

E dopo tutto sono qua pronta a rialzarmi ancora
cercavo un amore che mi potesse far sentire libera,
ma poi si è dimostrato essere qualcosa che fa male dentro quando ci tocchiamo,
e così vado avanti, perdo la mia strada.

Smarrita, sto provando a non sentirmi incatenata,
a bruciare via questa sensazione di sentirmi fredda.
Vieni e annega con me, la risacca ci porterà via,
e vedrai che sono dipendente dalla mia onestà.
Credimi! Perché dopo tutto, il mio senso di verità mi ha portata già una volta qui,
ma ho perso il controllo e non so più se sono sincera con la mia anima.
Ho perso il controllo e non so se sono sincera del tutto.

Siamo sempre stati molto più umani di quanto avremmo voluto essere.
Tutti questi anni ad essere fedele a te, malgrado il desiderio che scorreva nelle mie vene.
E ho sempre cercato di calmare le cose -mandare giù, mandare giù-
“E solo un’altra piccola spina nella mia corona.”
Ma improvvisamente un giorno c’era semplicemente troppo sangue nei miei occhi,
e ho dovuto intraprendere questo viaggio sul sentiero del rimedio dei come e dei perché.


Noi siamo sempre stati molto più umani di quanto avremmo voluto essere.
Noi saremo sempre molto più umani di quanto vorremmo essere.


 
 

Christmas 2012



“Vorrei essere una bomba a neutroni,
per una volta potrei non funzionare
Vorrei essere un sacrificio
ma in qualche modo ancora vivo



Vorrei essere un ornamento sentimentale
da appendere sull’albero di natale
Vorrei essere la stella che va sulla punta



Vorrei essere la testimonianza
Vorrei essere l’esempio per cinquanta milioni di mani alzate
e protese verso il cielo



Vorrei essere un marinaio con qualcuno che mi aspetti
Vorrei essere fortunato, fortunato come lo sono io
Vorrei essere un messaggero che porta solo buone notizie
Vorrei essere la luna piena che risplende sul cofano di una Camaro



Vorrei essere un alieno di casa dietro il sole
Vorrei essere il souvenir che tieni sulle chiavi di casa
Vorrei essere il pedale del freno da cui la tua vita è dipesa



Vorrei essere il la parola “fiducia” e non deluderti mai
Vorrei essere una canzone alla radio,
la sola per cui hai alzato il volume.



Vorrei…vorrei…vorrei….
suppongo che non finirò mai.”


Pearl Jam - Wishlist



Vorrei essere l’erba ricoperta di rugiada che saluta il sole al mattino
quell’erba che lei calpesta con le sue zampette curiose.



Vorrei essere l’orologio a pendolo che da sempre è appeso in cucina,
per fermare il tempo quando ne vale la pena.



Vorrei essere la nebbia che si alza dai campi dietro casa mia,
e accompagnare le giornate semplici di coloro a cui voglio bene.



Vorrei essere l’ombra alle tue spalle,
quella di cui non ti accorgi ma che più ti è fedele.



Vorrei essere la neve che scende a dicembre,
e regalare nuovi sogni a chi ha smesso di desiderare.



Vorrei….vorrei….vorrei.
Ho avuto un altro bel natale, ma non smetto di volere.


venerdì 28 dicembre 2012

Closer to hell


Nine Inch Nails - Wish

"Wish there was something real
Wish there was something true
Wish there was something real
in that world full of you."


Odio trovare cose che non vorrei vedere.

Odio anche solo il pensiero di pensare a qualcosa che dovrei odiare.

Quanto a lungo resta l’odore di un fallimento?


...

Non mettere i Nails...mi fanno incazzare.

...

Ci dev’essere un luogo, da qualche parte, in cui loro due avranno stelle in abbondanza, e aspetteranno l’alba insieme, l’uno tra le braccia dell’altra.
Ci dev’essere un cielo in cui una stella nomade scompare e riappare senza lasciar traccia, segnando i destini di coloro che a lei troppo si avvicinano.
E ci dev’essere anche un posto, da qualche parte nell’universo, in cui saremmo potuti stare insieme al principio di una nuova alba, abbracciati a pescare stelle senza più timore.

Invece questa è la realtà, e siamo solo pezzi di carne e sangue che inseguono i deliri di una volontà che non sa smettere di desiderare.
Probabilmente ci sarebbe stato un posto, in questo mondo, in cui non avremmo fatto altro che distruggerci a vicenda.

A volte vorrei potermi aprire il cervello per frugarvi dentro fino a trovare i germi malsani che mi hanno resa tanto cieca, vorrei sezionare ogni emozione fasulla, ogni paranoia, ogni mania ingigantita dall’angoscia di una vita che scivola via senza controllo.
Vorrei avere delle risposte, pur sapendo che l’unica risposta possibile è la vita che sto vivendo.

Non fa più male al cuore, è solo un gioco della mente, una ripicca del mio orgoglio.
La peggior maledizione è non saper dimenticare.



Dammi la bevanda del fluido che disintegra
e prestami il dolce balsamo,
la benedizione della dimenticanza.

Sonno d’oblio, districa le stelle
brucia i ricordi, annienta il dolore.

Rapiscimi, scombussolami e uccidimi di nuovo
perché brucio e tremo
muoio ad ogni movimento.
Anelo solo alla perfezione del tuo silenzio.

Purificami attraverso un flusso di buio.
Annegami, oblio.

Concedimi una vita che posso vivere.
 

lunedì 17 dicembre 2012

Nothing left to burn




Non ha più senso cercare quello che non c’è.
La neve è semplicemente bianca: non c’è nessun arcobaleno di colori nascosto tra i riflessi dei cristalli ghiacciati.
La vita è soltanto ore che scorrono e impegni che si susseguono: non è vero che siamo liberi di sognare.
E queste parole sono solo parole: non ci sarà mai un significato in più.
Ma so molte più cose di me stessa adesso: meno favole e più verità.

Ancora una volta, cammino in circoli.




Dicembre 2011

Dicembre è una valle coperta di soffice neve, è un abete fantasma agghindato a festa, è un lago placido in cui quella che si dimena e scalpita solo soltanto io.
Io amo dicembre, io amo la neve. E le panchine gelide nei parchi. E le stelle distanti viste attraverso i fumetti d’alito nelle notti d’inverno.
Amo la neve che è venuta e quella che verrà, il freddo che ho sentito, e i tanti modi che ho trovato per scacciarlo.
Amo tutte le persone con cui ho costruito i miei inverni. E i mercatini di Natale, e camminare per ore con le gambe congelate e il gusto di cioccolato sulle labbra.

Ogni anno è sempre più difficile dare un nome a questo dicembre, perché il tempo lo rende più grigio, e la neve che si ostina a non scendere non potrà purificarlo.
Diventa tutto complesso quando si hanno più ricordi che desideri: l’abete si piega lentamente, sotto il peso di tutti gli addobbi degli anni passati, e la memoria incespica attraversando pensieri che hanno ormai perso di obiettività.

La neve non arriva, ma quella che ho accumulato nel tempo è diventata uno spesso strato di ghiaccio limpido e trasparente. Se mi affaccio a guardare che cosa custodisce, vedo facce e ricordi lontani, incastonati come tante perle colorate.
Come se vedessi Neve lì sotto il ghiaccio, pur essendo cieca come l’uomo che l’aveva amata. Non vedo nulla, ma so che tutto quanto è esattamente lì.

Così riesco a ritrovare un brandello della vecchia, infantile, felicità, soltanto all’idea di passeggiare tra bancarelle colorate e luci di festa. Posso persino accettare che i fantasmi mi accompagnino, che siano parte di me. Posso essere diversa pur rimanendo sempre la stessa.
Non sono io che cambio: è tutto quel che ho intorno ad essere differente. Io mi allungo e mi restringo e cambio forma e mi adatto in infiniti modi, per entrare in questa realtà, questa che è la mia realtà.
Ed è buffo pensare che l’amore alimenta propositi stupendi, per poi lasciarti inciampare nelle cose più stupide.

Noi non ci incontreremo mai..un pozzo che fissa il cielo, due rotaie per sempre parallele. Lo so dall’inizio e più volte l’ho scritto. Tante volte quante quelle in cui ho pensato che poi magari poteva anche non essere così.
Ogni volta che torno sui miei passi fa sempre meno male, e la consapevolezza che il nodo resta stretto, adesso come prima, mi regala una strana serenità più forte del dolore.

Quante cose vorrei dire a questo dicembre, e quante a quest’anno che sta per finire.
Una volta a dicembre sono stata felice come mai prima, e quest’anno…beh, sinceramente non lo so. Sono dove voglio essere, e questo è tutto.

martedì 11 dicembre 2012

E sento...

…che chi sono e chi sono stato
sono sogni differenti.




“Are you in or are you out?
The words are stones in my mouth
Hush little baby don’t you cry
Truth comes down
Strikes me in the eye



Turning season within
Brand new nails across my skin
But who am I to imply
That I was found
That I found you in the white



To overcome this
I become one with
The quiet cold of late November
If you don’t see
I’ll remain unseen
Until there’s time to be remembered



So I had a green light
I was lost in city lights
Not so far from a try
This is not our last goodbye



So I found you
Found a way all through
The quiet cold of inner darkness
And now that you’re here
It becomes so clear
I have waited for you always”


(Katatonia - In The White)



“E quando mi parlerà di un cielo scuro,
di un paesaggio bianco,
ricorderò stelle che non ho visto,
che lui guardava,
e neve che nevicava nel suo cielo.”

lunedì 10 dicembre 2012

Quello che non c'è



“questo è un periodo in cui è sicuramente difficile trovare dei punti di riferimento: questa canzone parla di quello che non c’è.”
- M.Agnelli -




La neve se n’è andata silenziosa così come era arrivata, incurante del tanto frastuono creato da giornali e televisione. Temevo che mi avrebbe creato grossi problemi, ma in cuor mio sapevo già che le avrei perdonato tutto.

Non ho avuto nemmeno il tempo per godermela un po’. L’ho guardata scendere piano mentre io correvo al lavoro, ed ho invidiato il suo candore, la sua serenità, la sua capacità di fermare il tempo e imprigionarlo in attimi magici come bolle di cristallo.
La notte l’ho immaginata ricoprire tutto, come in una favola del nord che nessuno racconta più, ma quando la mattina ho aperto la finestra la magia stava già svanendo.

Quest’anno la neve ha solo reso più tagliente il pensiero di tutto ciò che mi manca.
Attraverso il candore del bianco che acceca vorrei ancora ritrovare il freddo e le stelle che ho perduto, quella sensazione di essere funambola senza timore, e quella voglia di vivere i miei sogni che mi ha portata a infrangere ogni regola pur di trovare “quello che non c’è”.

Dormo sonni irrequieti e non riesco a liberarmi dei pensieri contingenti. Vivo di corsa e mi lascio sfuggire centinaia di cose importanti. Il tempo mi scivola addosso e io non afferro che briciole.
Tutti mi parlano di ottimizzare i tempi, ma a quale scopo? Se il tempo non mi lascia spiragli di vita, di vita vera, allora cosa resta che valga la pena di essere “ottimizzato”?
Mentre lavoro osservo la gente che si gode le feste, che sorride camminando per strada, che non ha fretta, che non ha nemmeno rispetto per te che stai chiudendo dopo una giornata di lavoro e ti fermi lì di più solo per soddisfare il capriccio di qualcun altro.

Vorrei avere distese di neve, e laghi senza orizzonte, e foreste e stelle che siano soltanto mie. Vorrei avere freddo, un freddo insopportabile: un freddo che sopporterei se fossi dove desidero essere.
Vorrei la mia pistola per sparare a quello che non c’è, come un bambino che sconfigge i mostri nell’armadio, come Malte che scopre l’indicibile sotto la sua scrivania.
C’era un tempo in cui credevo a quello che non c’era, mi ero convinta che semplicemente non ci fosse per tutti gli altri. Un tempo c’erano le favole, i sogni, gli attimi spesi per cose inutili che diventavano così preziosi.

Ho perso il gusto, ho perso i sogni. La razionalità e le necessità quotidiane mi schiacciano. Eppure credo ancora di poter camminare dritta sull’acqua, o alta sulla mia fune. Cammino su quello che non c’è e ripenso a tutte le volte che ho creduto di trovare una nuova alba, nuove speranze, nuovi sogni.

“La chiave della felicità è la disobbedienza in sé a quello che non c’è..”
Provo a disobbedire alla realtà e ad alzare il naso verso le stelle per camminare ancora dritta sulla fune. Desidero così tanto cambiare senza tuttavia far nulla per riuscirci. E forse è proprio per questo che continuo a cadere sana e salva.

Penso a quello che c’è, alla mia alba fatta di una meraviglia semplice, di pochi momenti felici, di sorrisi ed abbracci che riescono a farmi dimenticare talvolta tutto quello che non c’è.
Tutto quello che mai ci sarà.



“Ho questa foto di pura gioia
è di un bambino con la sua pistola
che spara dritto davanti a se
a quello che non c’è

Ho perso il gusto, non ha sapore
quest’alito di angelo che mi lecca il cuore
Ma credo di camminare dritto sull’acqua e
su quello che non c’è



Arriva l’alba o forse no
A volte ciò che sembra alba non è
Ma so che so camminare dritto sull’acqua e
su quello che non c’è

Rivuoi la scelta, rivuoi il controllo
rivoglio le mie ali nere, il mio mantello
La chiave della felicità è la disobbedienza in sè
a quello che non c’è

Perciò io maledico il modo in cui sono fatto
il mio modo di morire sano e salvo dove m’attacco
Il mio modo vigliacco di restare sperando che ci sia
quello che non c’è



Curo le foglie, saranno forti
se riesco ad ignorare che gli alberi son morti
Ma questo è camminare alto sull’acqua e
su quello che non c’è

Ed ecco arriva l’alba so che è qui per me
Meraviglioso come a volte ciò che sembra non è
Fottendosi da sè, fottendomi da me
Per quello che non c’è..”


giovedì 29 novembre 2012

Cathode Ray Sunshine



Oggi non riesco a trovare un titolo…fa niente, dato che non so nemmeno cosa ho voglia di scrivere.
E’ riapparso il sole stamattina, il sole che non riscalda ma illumina quanto basta per illudersi che quel vago tepore sia dovuto a lui.
Non mi dispiace l’inverno nebbioso, piovoso o nevoso, eppure quando riappare il sole dopo giorni di pioggia c’è sempre quel piacere futile di osservare le cose scintillare, di fermarsi a guardarle come se non le si vedesse da chissà quanto tempo.

Oggi sono stata di nuovo a lavorare gratis, ma da sabato si comincia col contratto in regola, e con i sette giorni su sette non stop. E’ un contratto stagionale, quindi me ne sto apposto solo per un po’, ma devo dire che non mi dispiace affatto farmi quest’esperienza.
So già che tra natale e saldi il mio sistema nervoso là dentro sarà messo a dura prova, ma sono assolutamente fiduciosa e soprattutto sono parecchio contenta che qualcuno mi abbia dato una possibilità, scegliendomi tra altre decine di curriculum.
Non credo di essere perfettamente tagliata per questo lavoro, anzi, mi sto facendo in quattro per imparare a muovermi degnamente, però dopo l’iniziale spaesamento mi sembra già di star facendo passi avanti.
E poi le colleghe mi piacciono, sono sclerate il giusto, non sono snob e non mi sembrano nemmeno stronze (cosa non così scontata per un negozietto di lusso del centro). Ma poi diciamocelo, un posto che si chiama “Luna” non poteva non fare per me! Dev’essere il destino.
Bene, restino queste mie parole a monito, perché già prevedo successivi post deliranti in cui mi rimangerò tutto. O forse no? Staremo a vedere, io per ora sono molto fiduciosa!



Sarà il sole che mette ottimismo. Magari sono solo contenta perché finalmente si seccheranno tutte le cose che non so più dove appendermi in casa (o dovrei chiamarlo bunker?) senza coltivare chili di muffa sulle pareti (di recente imbiancate, li mortè!).
Carmine approva con un boccheggio misto a ruttino, mentre tiene la sua enorme coda pinnosa adagiata sulla piantina, con una nonchalance tale che devo assolutamente ricordarmi di fargli una foto.

A proposito di foto, per tre mesi probabilmente non avrò più neanche tempo di vivere, figuriamoci andar da qualche parte a far foto. Confesso che la cosa mi preoccupa, ormai è vitale per me prendere Reffy e far qualcosa, qualsiasi cosa.
Fa niente, mi sfogherò come un’indemoniata il mio primo giorno libero, cioè Natale! Un’indemoniata a Natale, no, non suona bene. Del resto calza a pennello con quella che è “l’atmosfera” natalizia che di solito si respira l’ultima settimana prima del 25 nei negozi e centri commerciali.
Io già ho gli incubi riguardo le musichette natalizie in loop. Meglio non pensarci.



Di cose più importanti in effetti ne avevo da dire! Ieri è stato il compleanno del mio tauro e ce ne siamo andati a mangiare greco. Usciti un po’ con la fame per via delle porzioni ridotte (ormai sto facendo pure io uno stomaco da camionista) ma estremamente soddisfatti per la qualità dei cibi! Avrei fatto volentieri razione doppia di tutto.
Per la rubrica “una casalinga fallita” sarà bene ricordare anche che ieri sono riuscita a cannare l’unica cosa che di solito riuscivo a fare bene in cucina: i dolci. Stendiamo un velo pietoso perché ancora non mi capacito di come ho fatto a fare quel disastro.
Fortuna che ho altre qualità. O almeno dovrei averle. Di sicuro da qualche parte le ho messe.

Bene, mentre la banshee intona il suo ultimo gorgheggio con stecca finale, scendendo le scale dietro la mia schiena con una falcata da rinoceronte, ho deciso che è meglio smetterla di scrivere cazzate. Quasi quasi vado a fare la lucertola in veranda.
Adieu!



“Carry our streams
Lift up our less than elated lives
Transmit our selves
We breathe out
Where no one whispers

Take in all the dark light
turn the nighttime into day



Cathode ray Sunshine
speak out and we receive
Show me and let us in

Alienate
Block out all
amid the breaking of the light
See it again and again
Single sight

Sensory perception
turn the nighttime into day



To our great distrust
Escapism a means of
getting through alive
Take it in and spit it out again
That measly filth

Focal degradation
Bring the chaos into light

Cathode ray Sunshine..
..Burn!”


giovedì 22 novembre 2012

Hai le borse sotto gli occhi



Sole d’autunno che fa quasi un po’ primavera. Sensazioni di colori accesi che si apprestano a scomparire e di un freddo pungente che accende stelle nel cielo. Non mi fa più lo stesso effetto questo periodo, forse sono solo un po’ meno viva di prima, e mi dipingo le unghie di bianco per pensare alla neve.

Mi guardo e non mi vedo mai com’ero. Cambiano le espressioni, le rughe del viso, la leggerezza dei miei passi. Sono nervosa, sono terrorizzata a volte.
Non ho più fiducia in me stessa e mi manca quella sicurezza un po’ imprudente di chi non teme nulla perché in fondo nulla gli importa davvero, perché tanto c’è ancora un sacco di strada davanti, perché se oggi non va bene domani andrà meglio. E con certe premesse, chi se ne frega dei piccoli fallimenti?

Non mi sopporto più quando ripeto per l’ennesima volta che dev’essere colpa della vecchiaia. Quel che è certo è che mi manca l’energia che spaccava tutto, la voglia di mettermi sempre in gioco, il menefreghismo, l’ottimismo riguardo me stessa, la presunzione di potermela sempre cavare.
Inizio a capire cosa vuol dire avere più ricordi che desideri, a comprendere perché ogni cosa a cui ci si lega diventa simile a un macigno rassicurante dal quale non ci si vuole più staccare.

Più sono le cose a cui tengo e più è difficile mantenere la leggerezza, la sconsideratezza della funambola.
Ogni passo falso non è più solo mio, troppe sono le carte disposte in tavola. Ho quasi dimenticato che forma ha la figura dell’appeso.

Nonostante questo riesco a bere un po’ di sole, a farmi forza con le piccole cose che voglio conquistare. Non dormo per notti intere, nervosa per la prova che mi aspetta, poi mi ritrovo a piegare pigiami e mutande per clienti facoltose e mi domando come ho potuto agitarmi tanto.
Cerco di ricordare a me stessa che una volta mi credevo intelligente. Una volta ero piena di ambizioni.

Si sgretola lentamente quella parte di me che non si poneva limiti e prendeva a calci le paure.
Un tempo temevo me stessa molto più del mondo, ora che invece ho fatto pace con la mia ombra non sono più la persona che avrei voluto essere.

Leggo i racconti di Mann uno dopo l’altro bevendo l’inchiostro come fosse acqua di fonte, e respiro dalle pagine consunte quell’indolente incapacità di vivere che non lascia scampo a nessuno dei suoi personaggi.
Giro le pagine una dopo l’altra e ancora spero che ci sia un lieto fine, soltanto uno. Eppure so benissimo che ognuno di quei personaggi sperimenterà null’altro che frustrazione, delusione, incapacità di esistere degnamente.
E dire che avevo evitato di ributtarmi su Pessoa proprio per scongiurare di finire nel gorgo dell’inquietudine.
Ma c’è qualcosa di bello in quelle pedine mosse da un destino più grande. Qualcosa di bello come un fiore sepolto: hai il sentore che ci sia, ma non ne avrai mai la prova.
Forse dovrei cambiare letture, almeno finché il mio umore non migliora.

“Prendi la pappa reale” – mi ripete mia madre, e sorrido per come a lei le cose appaiono tanto semplici. Ho voglia di neve, e di sole e di stelle. Voglia di smetterla di pensare a questo lavoro che forse avrò, a questo scorrere delle giornate verso qualcosa di utile ma così insensato.
Voglia di trovare le isole fortunate di Pessoa, da qualche parte a sud di tutte le cose. Voglia di mare nel cassetto e di mille bolle blu.

“Sai che d’inverno si vive bene come di primavera?”. Di tanto in tanto quel tonfo che sento nel cuore somiglia proprio all’irruenza con cui Battiato attacca “Alexander platz”.
E ti ricordi che faceva caldo ed era una splendida sera d’estate quando per la prima volta ho sentito questa canzone così piena di inverno?

Vorrei prendere Kim e camminare per ore senza pensare a niente, e poi risponderti al telefono e scoprirmi a sorridere ogni volta che risento la tua voce, mille e ancora mille volte al giorno. Sorrido dentro e non ne posso fare a meno. E non ne posso fare a meno perché ti amo.

“Tarvitsen sinua”. Apro la cronologia di una vecchia conversazione e trovo queste due parole in mezzo a tante altre chiacchiere inutili. “Dovresti imparare a leggere tra le righe” - ti ho scritto poco più sotto, dopodiché il caos.
Chissà se hai mai capito che ti volevo solo dire di notare quelle due parole, abbandonate lì tra altri miliardi di pixel senza senso. No, non le hai mai viste, il tuo ego era troppo grande per permetterti di vedere.

E in cuor mio sento per un istante quella consolazione profonda di chi a distanza di tempo può dirsi fortunato dopo una grande sofferenza.



“E’ il momento di sentire la paura per mantenere l’attenzione.
Ed è il momento di dormire per attingere alla conoscenza.
Queste sono le radici che affondano nel nulla.
Questi i venti sibilanti che non portano in alcun luogo.
E’ il momento dell’alba di un giorno che non arriverà mai.
Posso offrirti un rifugio per sfuggire al dolore.
Puoi provare a resistere, ma sarai deriso dalla sconfitta.
Come puoi ritardare ancora l’inevitabile?
La coppa è vuota, non può più essere riempita.
Ma tutta la sete ora può placarsi.
Questo è l’antidoto.”

mercoledì 14 novembre 2012

Nulla si crea e tutto si distrugge




Riemergo lentamente da acque torbide, galleggiando sulla superficie ancora increspata dall’irrequieto fluire sottostante.
Sono acque dense come sabbie mobili quelle in cui a volte mi trovo a dimenarmi con l’unico risultato di creare correnti ancora più violente.

Odio sentirmi fragile e in balia di sensazione che non riesco a controllare. Odio lo stomaco che si contorce e gli attacchi di panico che tolgono il fiato la notte. Odio svegliarmi con gli occhi sbarrati, incapace di digerire l’angoscia.

A volte prendo le cose troppo seriamente, e sono così severa con me stessa che autoalimento la mia disperazione. Non c’è nulla di oggettivamente insuperabile, eppure sono riuscita a sprofondare nella melma delle mie paranoie per giorni e giorni senza trovare rimedio.





Sarà stato perché è successo tutto molto in fretta: prima la laurea e il periodo iper-stressante che ha preceduto la discussione, poi i pochi giorni per dedicarmi a tutto quel che avevo trascurato e subito dopo il viaggio.
Appena tornata mi è crollato tutto addosso, non solo perché ho visto con molta più chiarezza quanto meglio si stia in altri paesi, ma perché solo in quel momento ho capito che il peggio doveva ancora venire.
Mi sono ritrovata improvvisamente catapultata in una realtà insostenibile.

Ho studiato per anni, forse troppi anni. Soprattutto verso la fine della mia carriera universitaria i tempi si sono allungati all’infinito e gli anni hanno continuato a passare.
Ho sempre fatto lavoretti da studentessa: cameriera, promoter e lunghissimi tirocini nei musei. Spesso erano cose che mi schifavano terribilmente, ma le affrontavo con serenità perché ripetevo a me stessa che erano solo soluzioni temporanee.





Adesso però quel pensiero non funziona più, perché adesso ho 28 anni e sono già troppo vecchia per tutto, ma le esperienze che ho nel mio curriculum non bastano neanche per avere il più stupido dei lavori.
Figuriamoci i titoli di studio: valgono praticamente zero, o addirittura in certi posti vengono visti come un motivo per preferire il curriculum di qualche non laureato al mio. Bellissimi quei voti fighi sul curriculum, ma a cosa servono adesso?

Non ho speranze di lavorare nel mio campo di studi. Ok, questo sapevo già, ciò non toglie che sia difficile accettare di aver buttato anni di esistenza per poi rassegnarsi a fare un lavoro qualsiasi che avrei potuto trovare anche subito dopo il diploma.
Il problema è che a questo senso di frustrazione se ne aggiunge uno ben peggiore: anche se son disposta a fare qualsiasi tipo di lavoro, di lavoro non ce n’è.
Ho perso il conto dei curricula mandati e portati in giro, eppure non ho ricevuto nemmeno una chiamata, nemmeno una possibilità di avere un colloquio. Non c’è lavoro, chi ce l’aveva lo ha perso o lo perderà a breve, qualcun altro invece resiste, ma tutti abbiamo paura e la situazione non accenna a migliorare.





Così non solo ho buttato anni e anni per farmi una carriera universitaria, ora mi ritrovo troppo vecchia, senza le esperienze sufficienti per essere assunta, a elemosinare lavori che comunque mi schifano.
Io onestamente non riesco a immaginare di peggio. Se poi mi metto a pensare che se mai dovessero prendermi da qualche parte farei la schiava e non esisterebbero più domeniche, il quadro di disperazione è totale.
Non che per principio mi interessi la domenica, ma l’idea di non avere più neanche un giorno da passare in tranquillità col mio uomo mi spaventa terribilmente. Fa nulla, tanto per ora nulla si muove.

O meglio, sto aspettando una chiamata dall’unico ente che mi ha presa in considerazione per un lavoro temporaneo limitato al periodo di una mostra. A breve saprò se almeno lì i miei voti saranno serviti a qualcosa o se invece non conteranno abbastanza nemmeno per darmi una possibilità nell’ambito artistico (per inciso: possibilità assolutamente misera, dato che capirai che grande talento ci voglia a fare i biglietti, vendere gadgets o distribuire audio guide).
Però con la crisi nera che mi vedo attorno questa unica possibilità mi sembra l’unica cosa che potrebbe davvero darmi un po’ di speranza (e uno stipendio almeno per qualche mese…).





Così aspetto e (spero) mi dispero, mentre la mia mente continua a lavorare incessantemente pensando a tutte le opzioni possibili da considerare per trovare un lavoro.
Non mi do pace e più ci penso più mi angoscio, ma sto lentamente imparando a calmarmi e ad accettare la situazione senza farmi esplodere le budella.
Per ora non stiamo certo morendo di fame, io mi occupo della burocrazia e della contabilità della ditta dell’uomo e già questo mi fa sentire almeno in parte utile.

Ma non posso accettare di continuare a sopravvivere, io voglio vivere, voglio avere delle possibilità che un tempo mi sono state promesse, quelle possibilità che altri giovani prima di me hanno avuto, in tempi migliori.

Non voglio arrivare ai trenta e continuare a vivere alla giornata senza potermi permettere di sognare. Che si tratti di sognare dei figli, un matrimonio, o anche solo una casa più grande, la possibilità di avere dei fondi economici per qualsiasi emergenza o desiderio.
Non sto parlando di vivere nel lusso, ma almeno di non dover esser presi dal panico se per caso saltano fuori spese impreviste, e sospirare tristemente ogni volta che con l’affitto un sacco di soldi se ne vanno senza aver veramente investito in nulla.





Quando torno a casa dai miei mi guardo intorno: case grandi, giardini immensi, gente che sta bene, che ha anche una o due macchine parcheggiate nel cortile. Sono famiglie che hanno avuto modo di formarsi in tempi in cui facendosi il culo era ancora possibile arrivare ad ottenere qualcosa.
Vicino ad alcune di quelle case ne sono state costruite di nuove: i figli con la loro nuova famiglia e prole al seguito, alcuni hanno la mia età, ma hanno trovato un posto fisso almeno una decina d’anni fa e ora per loro è tutto diverso.

Mi pento delle mie scelte? Sì, amaramente, e lo confesso. Non sono solita avere rimpianti né rimorsi, soprattutto per quanto riguarda scelte personali, ma ora che mi guardo intorno e vedo un futuro che mi fa paura, mi chiedo perché non ho fatto altre scelte, perché non ho semplicemente deciso di fermarmi prima…sarebbe bastato anche solo qualche anno fa.

Mi rendo conto di quanto possa sembrare una lagna questo post, anche perché lamentarsi è inutile e in questa barca che affonda ci siamo dentro in molti. Penso di non avere detto nulla più di quanto già si sa, e di avere espresso semplicemente il pensiero di tanti altri giovani come me (che poi così tanto giovani non lo sono più).





Continuo a cercare e a farmi coraggio, aggrappandomi alle poche cose che mi rendono felice, come il fatto di avere un compagno di vita pronto a sostenere qualsiasi mia scelta. Non so come farei se non ci fosse lui, perché è forse l’unica cosa in cui non mi sento una fallita, l’unica certezza di aver costruito qualcosa di importante nella mia vita.
E in un certo senso so che finché saremo insieme non ci saranno periodi neri che non potremo superare, come già è successo in passato, perché anche se tutto dovesse andare a rotoli saremmo pronti a ripartire ovunque. Insieme.





Vorrei solo essere meno esigente e severa con me stessa. Vorrei il dono dell’indulgenza e del menefreghismo. Vorrei tornare a fare la cameriera senza quel terrore incontrollabile che stavolta sia “per sempre”.

Basta lamentele, non saranno certo le parole a salvarmi, non questa volta.
C’è una canzone di Milow che voglio dedicare a tutti noi della generazione tradita, a noi che non possiamo nemmeno più credere nei sogni: “Born in the eighties”.






Sono cresciuto negli anni 90, o almeno ci ho provato,
alla ricerca di modi per sentirmi soddisfatto.

Sono andato a San Diego per trovare fortuna.
Tornato dodici mesi dopo di nuovo ero bloccato.

Mi sentivo come un pesce rosso incastrato in un’ampolla
Ero in attesa di qualcosa che potessi controllare.


Dopo il 2000 non ero più un ragazzino
Il mondo non è finito, ma qualcos’altro sì.
Quando mio padre se n’è andato avevo appena 19 anni.
Non doveva esser felice come io pensavo che fosse.

Se questa è la mia sceneggiatura non mi piace il mio ruolo.
Ma queste sono le cose che non si possono controllare.


Anche se mi sento più vecchio, ho appena 23 anni.
Se sei in cerca di risposte, non venire da me.
Invece di un futuro ho una chitarra,
ma sognare a oltranza non mi porterà lontano.


Eppure mi sento pronto per il rock n’roll.
Ci potrebbe essere qualcosa che posso controllare.

Con il tempo arriverò ai 30 e ne avrò abbastanza
di essere un ventenne perennemente innamorato.

I miei amici saranno tutti sposati
oppure se ne saranno andati.
E io sarò ancora lì a chiedermi cosa sta succedendo.

Se è ciò che serve venderei la mia anima,
pur che ci fosse qualcosa che posso controllare.

Un giorno mi sveglierò e avrò 38 anni,
e mi ritroverò a fare le cose che ero solito odiare.

Il trucco per dimenticare il quadro più grande
è guardare tutto a distanza ravvicinata
più spesso che si può.

La nostra rivoluzione è coperta di muffa.
C’è solo così tanto che non è possibile controllare.


Questo non è un inno, perché gli inni sono orgogliosi
e l’orgoglio non è qualcosa che ha a che fare con questo.
Non dovrebbe importarmi, non dovrebbe importarmi,
ma mi importa, e qualche volta è troppo difficile da sopportare.

Cammino ancora sulla stessa strada
con le mie scarpe piene di buchi
in attesa di qualcosa che non possiamo controllare.


Se mai arriverò ai 50 o ai 65,
è troppo presto per dire se sarò ancora vivo.
Siamo nati negli anni 80 e adesso siamo qui.
Il sogno della mia Generazione scomparirà.


Sono al cimitero e passo tra le file.
Una resa silenziosa non arriverà mai così vicino.

Questa è la mia storia,
l’hai ingoiata per intero.
Ed è una storia su di noi,
sul nostro bisogno di avere il controllo.


(Milow - Born in the Eighties)