~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

Original Blog -> Nepenthe


- EviLfloWeR -

* photos on flickr *
Lunacy 2 - Lunacy 3 - Lunacy 4
Lunacy 5 - Lunacy 6 - Lunacy 7 - Lunacy 8
Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

martedì 31 gennaio 2012

Melancholia



“Il mio non è proprio un film sulla fine del mondo, ma è un film su uno stato della mente. E’ legato a un momento malinconico della mia esistenza.
[…] è anche in parte basato su qualcosa che ho imparato dal mio analista: di fronte a una grande catastrofe, una persona infelice reagisce con molta più calma di una normale che, invece, tende a precipitare inevitabilmente nel panico.”

- Lars Von Trier -

Melancholia è un pianeta azzurro, un astro celeste fluttuante nell’immensità dell’universo, un corpo in movimento secondo leggi del caso, che segue traiettorie ineluttabili dettate da necessità cosmiche.
E’ un’apparizione bluastra nel cielo, una seconda luna più luminosa e incantevole. Melancholia ha un fascino irresistibile, non si può non guardarlo con ammirazione, come si fa con le miriadi di stelle o con la luna nei suoi momenti più belli.
Ma Melancholia ha una bellezza fatta di morte. E’ il destino terribile a cui la terra va incontro, è un corpo estraneo e sconosciuto che arriva da chissà quale estremo di galassia per portare un messaggio di distruzione, per attuare una qualche purificazione attraverso l’annullamento.

Non è un film sulla fine del mondo, lo dice anche Lars. Niente allarmismi o catastrofi o le solite scene ad alta tensione che mostrano popoli in fuga.
Non conosco nessun altro che sappia descrivere con tanta profondità le patologie dell’animo umano. Non pensavo nemmeno che esistessero immagini in grado di “dire” qualcosa che sfugge persino alla comprensione intellettuale, qualcosa di sempre indefinito, solo approssimativamente descrivibile e controllabile. Qualcosa di etereo e diffuso come il malinconico azzurrino di un pianeta in collisione. Tutto questo prima di vedere un film di Lars von Trier, per la prima volta, qualche anno fa.

L’indicibile, quello che Rilke chiama la “cosa grande” (per non saper trovar altro modo di descriverlo a chi non l’abbia provato in prima persona), diventa magicamente visibile.
Ed è lacerante proprio perché coglie nel segno.
L’immagine non è copia fedele di nulla, non sa definire né descrivere uno stato distorto della mente, però può essere analogia, ed avvicinarsi così tanto al nucleo autentico della cosa, da riuscire a far accapponare la pelle.
Il cinema è una scatola magica delle meraviglie, ma ogni meraviglia è di per sé qualcosa che sfugge alla comprensione, dunque ha in sé tutte le caratteristiche del terribile. Questo me l’ha insegnato Lynch.
Von Trier invece sa giocare con la bellezza tanto quanto con la psiche. Sa perfettamente come creare immagini che si insinuino a guisa di fantasmi nel subconscio di chi è rimasto senza barricate sicure.

Melancholia è uno stato mentale. La depressione è una malattia mentale. Justine è depressa.
La fine del mondo non la sconvolgerà poi tanto, perché ci ha già pensato la vita a logorarla e dilaniarla. Ci hanno pensato quei movimenti rallentati fino all’esasperazione, quei fili troppo spessi ed aggrovigliati che trattengono il passo, quella sensazione diffusa di struggimento, di impossibilità di vivere normalmente anche le cose più insignificanti.

La fine è quasi liberatoria, è necessaria. La fine arriva al culmine di una tragedia annunciata sin dall’inizio. La fine è inevitabile. E la natura, sempre così superiore all’uomo nella visione di Von Trier, era già pronta ad accettarla.
Il microcosmo in cui si svolge l’intero film, costruito con immagini di una bellezza ammaliante, giocando sul filo dell’appagamento estetico proprio solo della grande Arte, sembra quasi una piccola isola dei morti alla Bocklin.
In quest’isola si mette in gioco l’umanità in una danza tra vita e morte, e non l’umanità nel senso di genere umano, ma di psicologia profonda, di “sentire” umano.
Il perfetto equilibrio/paradosso tra le due donne è straordinario, e la sensazione di angoscia nei confronti del semplice esistere non è mai stata così inspiegabilmente “piacevole”.



“Sì la vita non ha alcun senso, ma assistere alla fine del mondo non è poi così terribile: tutti prima o poi moriremo. Da questo punto di vista considero ‘Melancholia’ un film molto positivo, quasi una commedia.”

- Lars Von Trier -
 


 

giovedì 26 gennaio 2012

M. L. Brigge



Spesso mi è accaduto di implorare la vita, o forse il cielo o un qualche dio, affinché nei momenti più bui mi riportasse a “casa”. Ma altrettanto spesso poi, sono stata costretta a chiedermi cosa quel termine significasse.
“Take me home”…portami dove sono al sicuro, dove posso leccarmi le ferite e ricostruire la serenità.

Ho creduto per molti anni che la tanto desiderata “casa” corrispondesse a delle persone specifiche, o più probabilmente ad una soltanto.
Case costruite una dopo l’altra, sorte come fari nella tempesta ogni volta più luminosi. Peccato che non tutte si siano dimostrate tanto resistenti quanto le avrei volute.

Il fatto è che credo ci sia un errore di fondo, che mi ha portato a trascurare quel tipo di casa che non ha niente a che fare con carne ed ossa, che coinvolge gli affetti solo indirettamente.
Quei mattoni che stanno lì, indipendentemente da tutto e da tutti, e che per qualche coincidenza del destino un giorno diventano “tuoi”. E può essere che ci cresci dentro per anni, che li scaldi e li accarezzi e ci sbatti contro, dando per scontato che loro restino lì. Hanno un odore particolare i mattoni che diventano la tua casa, ma te ne accorgi solo quando non sei più lì, e in un posto diverso realizzi che qualcosa ti manca.
Eppure sono solo mattoni e cemento, così comuni e anonimi che non ti riesce affatto difficile convincerti che anche tra quelli nuovi non ci stai poi male.

Si prende talmente bene la forma delle proprie abitudini, che quando le cose cambiano e nulla è più scontato come lo era prima, ogni cosa comincia ad assumere valori e connotazioni che non avremmo mai creduto possibili.



E’ come se una tormenta si fosse abbattuta sulla mia esistenza e avesse creato una gran confusione, facendo volare le cose per aria con prepotenza, tra le grinfie di un uragano impetuoso, per poi placarsi lentamente e lasciar ricadere le cose qua e la, in ordine casuale. Sono esattamente le stesse cose di prima, ma rimescolate assumono forme e significati diversi: è sempre la mia vita, ma non assomiglia affatto a quella di prima.
Perché si può anche provare a riordinare le cose, a rimetterle dove stavano prima, ma è come se non funzionassero più: gli incastri si sono danneggiati.


Ogni tanto torno a casa mia, e la vedo sempre più bella. Non che prima non lo fosse…ho sempre adorato moltissime cose del posto in cui sono cresciuta, e odiate altrettante. Ma come i più grandi amori, anche questo è uno di quelli combattuti e illogici.
Adesso però riesco a guardarla con il distacco dovuto, e paradossalmente posso sentirla più mia, posso sentire quell’alone di “casa” che prima mi sfuggiva da sotto il naso.
E questo non vuol dire che mi manca, ma solo che la vedo più bella, e che mi piace così.

Nonostante questo, non mi risparmio le maledizioni per i chilometri infiniti, per quelle strade sempre più strette che non finiscono mai, che mi fanno pentire di aver deciso di partire. Ma poi sento il profumo della campagna e respiro a pieni polmoni, mi riempio gli occhi di alberi e terra e orizzonti sgombri da tutte le cianfrusaglie cittadine, e saluto il cielo che non è così immenso e colorato in nessun altro luogo al mondo.
Quel cielo gelido di cui conosco tutte le stelle per nome.

Credo di aver riscoperto qualcosa di magico da quando non vivo più lì, come il giardino segreto della mia infanzia, o forse solo un rituale di gesti spontanei che mi danno il benvenuto a “casa”.
E allora ogni angolo di quel luogo tanto familiare mi sembra degno di esser osservato più a lungo, di esser investito di vita, così che possa assorbirla e tenerla lì.



Con queste premesse, Reffy diventa più indispensabile che mai. E’ il mio terzo occhio, che sta a metà strada tra il senso della vista e il concetto della memoria.
Grazie a lei posso tramutare in pensiero e sensazione tangibile quel che altrimenti rimarrebbe inespresso, intrappolato soltanto nelle recondite vie del mio cervello.

E mi diverte immaginarmi come un moderno Vermeer, mentre passo il tempo a scoprire angoli di banalissima quotidianità così degni di esser immortalati.
Lui dipingeva soltanto scene che osservava in casa sua, o al massimo vedute di città dalla finestra del suo atelier. Ed era un minuscolo cosmo fatto di luci e riverberi di colore che splendevano di vita semplice. Niente di speciale, a ben osservare quei quadri.
Niente di speciale ma tutto di vitale.
E la semplicità che suscita la meraviglia è forse il più alto fine che un artista dovrebbe porsi. Oh beh…molti non sarebbero d’accordo. Ma personalmente quando ho letto per la prima volta Maxence Fermine ho capito che era così che volevo imparare a scrivere, un giorno, se mai fossi riuscita a realizzare i miei desideri: poche parole di una semplicità e di una bellezza disarmanti.

A ben pensarci, ora che penso alla scrittura e alla sua essenza vitale, non mi è poi così nuova la tendenza a soffermarmi ad osservare le piccole cose intorno a me, nell’ambiente quotidiano.
Ripenso in particolare alle centinaia di pagine di diario che ho scritto in quella casa, tutte introdotte da una qualche digressione su quel che osservavo intorno a me in quel momento.
Quanto inchiostro versato quasi quotidianamente per immortalare pensieri e paranoie?
E poi un bel giorno basta. Come i quadri di Baricco che decidono di cadere. L’ultima pagina è ancora incompiuta, e non l’ho toccata più.
Anche ora che me lo chiedo, non so sinceramente spiegarmi perché ho smesso.

Mi esprimo in altre forme? Certo..è probabile. Di scrivere non ho mai smesso. Ma realizzo solo adesso che smettendo di scrivere assiduamente un diario personale, dove riversavo pensieri senza limiti o censure, ho perso irrimediabilmente troppi pezzi per strada.
E allora mi chiedo se mi ricorderò tra qualche anno delle piccole cazzate quotidiane, dell’odore dei mattoni nuovi pieni di muffa, di come cambia la luce al tramonto o di quante stelle ho attaccate all’armadio, del gusto del gorgonzola mischiato a qualsiasi cibo o dei wrauurr che riecheggiano nei discorsi tra due idioti innamorati.



Ma poi mi rendo conto che non è solo il presente ad esser condannato all’oblio, perché più mi guardo intorno, accompagnata dal leggero rumore dell’obiettivo che cerca il fuoco, che troppi ricordi si accalcano alla soglia della memoria, rivendicando il loro diritto mancato di essere immortalati.
Se chiudo gli occhi e mi fermo ad ascoltarli, seduta qui, al centro di quella “casa” che ad ogni minuto si impone con sempre maggior prepotenza, non riesco a fermare un flusso che mi investe e mi stordisce con la violenza di una terapia “necessaria”.

Capisco allora che non potrò mai raccontare a fondo nulla.
Non potrò mai raccontare dei pomeriggi assolati seduta di fianco al mio cane dietro casa, immaginando storie al di là dell’orizzonte, o delle foglie nel fango e del passaggio segreto tra i bambù.
Della tomba sull’erba e dei temporali estivi nella veranda con nonna.
Del giorno in cui ho visto una volpe, giusto dopo aver sezionato un ranocchio insieme al mio primo grande amore.
O delle lucertole senza coda, e della pioggia incisa sulla mia finestra.
Della persiana serrata dove prima entrava sempre il sole, o della bara chiusa e di tutte le volte che iniziavo a piangere perché mi accorgevo che intorno a me ogni cosa moriva.
Della paura, o della disperazione senza nome. Della voce che consola e delle luci bianche, senza calore.
Dei volti sul muro e delle favole. Di tutti i nomi che ho avuto e le migliaia di storie che ho vissuto.
Dei boschi e dei basilischi, delle viverne e dei giganti del gelo, degli amori senza nome e senza diritto d’esistere.

Dalla realtà alla fantasia il passo è così breve che quasi non vedo il confine, ma accuso l’ostacolo e smetto di pensare.
Ripeto a me stessa che comunque non devo considerarlo tempo perso, e cerco di pensare a come fare in modo che mi torni utile, un giorno.
Quante cose sono stata…tutte e nessuna. E tutte e nessuna porto con me.
Non è bizzarro che il flusso di pensieri si interrompa proprio là dove la memoria si fonde con la fantasia?



Torno alla realtà e osservo i raggi del sole che assumono una tonalità più calda e rosata sfiorando l’orizzonte.
La mia lupa mi sfiora la guancia con la zampa inzaccherata di fango per reclamare altre coccole. Ha gli occhi del colore dei miei capelli, eppure lo so che non è possibile.
Più la guardo e più me ne innamoro, oggi come il primo giorno che l’ho vista in quel canile, quando ho decretato: “è lei, prendo lei”.
E non mi importava se la tizia continuava a ripetermi che sarebbe stata problematica perché era traumatizzata. Io so che lei ha capito subito, quando l’ho guardata negli occhi e le ho promesso che le avrei regalato la libertà, e un giardino immenso, e un mare di affetto. L’ha capito. Anche lei ha scelto, questo l’ho sempre saputo.

Quel che non sapevo è che la mia promessa era incompleta, ma allora non potevo prevedere che in quel quadretto paradisiaco un giorno sarei mancata io.
Però le è rimasto il giardino, la libertà, l’affetto. E lei non è più problematica né traumatizzata. Il suo sguardo è sereno, ed è sempre più bella.



E’ arrivata da me per San Valentino, ormai tre anni fa, in un momento in cui avevo perso l’amore, e non solo nel senso che tutto stava andando a puttane tra due persone che un tempo si amavano, ma in una dimensione più profonda che mi aveva portata a non concepire più l’amore.
Avevo perso una delle più grandi certezze della mia vita ed ero svuotata, completamente. Ma in quel vuoto è arrivata lei, e mi ha insegnato che si possono trovare sempre nuovi modi di amare.
A volte mi manca davvero tanto, mi manca quel suo sguardo consapevole di tutto quel che rimane soltanto tra noi.

Non so perché ho messo in piedi questo flusso di pensieri strampalato, ma arrivata a questo punto mi compiace l’idea di aver iniziato parlando di “casa”, per poi chiudere il cerchio raccontando di Kim.

Se è vero che la libertà è uno stato mentale, allora la casa non è altro che il luogo in cui abbiamo costruito noi stessi, in vista del giorno in cui saremmo stati costretti ad andarcene per il mondo, muniti di una qualche consapevole e tenace identità.




“Nasciamo, per così dire, in qualche modo provvisoriamente;
solo poco alla volta componiamo, in noi,
il luogo della nostra origine
per nascervi a posteriori e ogni giorno sempre più definitivamente.”


- R. M. Rilke -



“Conosco la sensazione
E’ l’essenza
L’essenza della verità
Il momento perfetto
Il momento d’oro
Lo so che lo senti anche tu

Conosco la sensazione
È l’essenza
Non puoi rifiutare l’abbraccio
E’ come il disegno sotto la pelle
Devi sporgerti e tirarlo tutto dentro
E senti che sei arrivato troppo vicino

Così ne ingoi un’altra dose
l’apice della felicità
Ti riempie l’anima



Pensi di non poterne prendere di più
Non vuoi mai lasciarti andare
Per toccare le radici dell’esperienza
Gli ingredienti basilari
Per vedere il bagliore sconosciuto della vita
E sentire lo sporco, l’angoscia, la rabbia e il conflitto

Ama la sicurezza dell’imminente
Ti uccide un po’ alla volta
Culla l’ispirazione
Ti lascerà a contorcerti sul pavimento…

E’ così irreale, ciò che sento
Questo nutrimento, la vita è piegata
In una forma che posso governare
Una spira del destino, tutta mia



Digrigna i denti, non far rumore
Fai un passo e guardati intorno
Stringi il pugno e chiudi gli occhi
Guardati dentro nel profondo, ipnotizzati,
Il sospiro non è che un grido
E questo è quanto

Sì, l’estasi, puoi pregare
Non la lascerai mai scivolare via
Come la canzone sacra che qualcuno canta dentro di te
Come la carne calda dove si conficca la spina
Come il sogno che tu sai un giorno diverrà realtà

Provi a trattenerlo un po’ di più, un po’ più forte
E’ il gioiello della vittoria
L’abisso della miseria
E una volta che ne hai assaggiato l’anima
Ne riconoscerai sempre il sapore
L’attimo di divinità
Bevi il cielo
Tutto il paradiso è tra le tue braccia

Tu sai perché
È proprio qui, in tutto se stesso
E ciò che sei, non c’è niente altro
Stai sviluppando una vita dentro un’altra
Le labbra della meraviglia ti baciano dentro

E quando è finito la sensazione rimane
Ritorna tutto a questo
Il fumo sparisce, vedo cos’è che
Che mi fa sentire così…

E’ così irreale, ciò che sento
Un flusso, vendi l’anima, senti il sangue
Che pompa nelle vene, non puoi spiegare
L’elemento che è tutto
Serra il pugno e chiudi gli occhi



Guardati dentro nel profondo, ipnotizzati,
Sì, l’estasi, puoi pregare
Non la lascerai mai scivolare via

Come l’eco delle risate della tua infanzia, da allora in poi
Come la prima volta che l’amore ti ha costretto a prendere la sua direzione, in silenzio
Come il tuo battito cardiaco quando capisci che stai morendo, ma resisti
Come il modo in cui piangi per un lieto fine, fine…
Lo so.”


(Faith no more – The real thing)

sabato 14 gennaio 2012

Where the magic really happens


 
"Le uniche culle di cui dovremmo prenderci cura
Sono le uniche per cui siamo quì
Le uniche che appartengono ai nostri bambini
Che fanno ciò che noi facciamo
Cicatrici dalle nostre ferite.

Le uniche culle che fanno la differenza
Dove la magia realmente accade
Non provengono da una Mercedes Benz
O da un ampio schermo che non mostra niente
Che non mostra niente.

Sono stufo dei dispositivi di controllo della casa
Stufo dei nauseanti designer di case
Stufo delle droghe, dell’oro e della lap dance
Stufo degli homies
Stufo delle pose.

Nonostante il personale che annuendo vi serve
Nonostante il vostro nome su vestiti e profumi
Nonostante il modo in cui la stampa vi osserva
Siete solo persone.

Persone di successo
Persone vestite
Persone sorridenti
Persone famose
Persone da tappeto rosso
Persone ricche
Persone importanti
Ma semplicemente persone.




Così vaffanculo alla cucina da milioni di dollari
Vaffanculo ai poster di Al Pacino
Vaffanculo alle droghe, all’oro e alla lap dance
Vaffanculo agli homies
Vaffanculo alle pose
Vaffanculo ai muri che loro si costruiscono attorno
Vaffanculo al nonsense della magia delle camere da letto
Non voglio ascoltare le loro voci
Fintanto che votano con i loro portafogli.

Vaffanculo allo stupido scherzo del "ti butto fuori"
Vaffanculo al sigaro fumato da De Niro incorniciato
Vaffanculo alla loro mancanza di originalità
E di personalità
Vaffanculo a questa farsa
Vaffanculo a questa nuova norma
Vaffanculo alla conformità
Vaffanculo alla loro Kristal
Vaffanculo al loro squallore
Vaffanculo al modo in cui loro fottono l’uguaglianza
Vaffanculo ai loro attrezzi omaggio
Vaffanculo a ciò che indossano
Siete solamente persone.

Persone di successo
Persone vestite
Persone sorridenti
Persone famose
Persone da tappeto rosso
Persone ricche
Persone importanti
Ma semplicemente persone.

Persone incasinate
Persone superficiali
Persone stupide
Persone di plastica
Metapeople
Persone theta
Persone in terapia
Entropeople
Vaffanculo a quello che indossano.
Sono intrappolato nella culla
Intrappolato nella culla.

Le uniche culle di cui dovremmo prenderci cura
Sono le uniche per cui noi siamo quì
Le uniche che appartengono ai nostri bambini
Che fanno ciò che noi facciamo
Cicatrici dalle nostre ferite."


(PoS - Intrappolato nella culla)
 



Per fare un prato bastano
un trifoglio, un’ape,
un trifoglio, un’ape
e un sogno.

Può bastare il sogno
se le api sono poche.


Emily Dickinson




Dedicato a te.
Alla semplicità con cui riesci a riempire le mie giornate, come sottile pulviscolo di magia che permea ogni cosa.

Dedicato a me.
A tutte le cose di cui ho imparato a fare a meno.

Dedicato a noi.
Che siamo solo persone. Solo persone.


 

giovedì 5 gennaio 2012

Written in the stars (Together we will live forever)



Girovagando alla ricerca di opinioni sul film, mi sono imbattuta in una recensione della colonna sonora che mi ha fatto parecchio sorridere. Trovandomi piuttosto d’accordo con l’autore, non posso non riportarla:

-.-.-.-

Non amo le colonne sonore. Le vedo come musica “derivata”. Melodie prestate ad immagini. Musica che si concede (puttana!) al fratello maggiore visivo e luminoso. Come se non fosse vera musica. Insomma, non amo le colonne sonore. Sono nate in funzione di altro. Girano intorno ad uno stesso tema. Si, ok. Ci sono cose notevoli. Quando ascolti la colonna sonora e rivivi il film. Vangelis e “Blade Runner”. Vangelis e “Momenti di Gloria”. Ma ricordavo il film. Un bel Film con un bell’accompagnamento. Nessuna vita propria.
Punto.

Clint Mansell è un musicista che scrive colonne sonore. Bella sfiga. Ha iniziato con un gruppetto diciamo Rock. Si sono sciolti subito (1996). Poi lo chiama l’amico Darren Aronofsky. Si. Quello di The Wrestler. Anche se non è per quello che lo si dovrebbe ricordare. Sono Requem for a Dream e π - Il teorema del delirio i suoi capolavori. Comunque. Gusti personali.

Insomma Darren gli fà: “Clint, perchè non mi scrivi la colonna sonora del mio debutto?”. Fatto. Poi Darren (e Clint) ci prendono gusto ed eccoli ancora insieme per Requem For a Dream. E lì Clint scodella “Lux Aeterna”. Bum. Ma non di poco. BUM BUM. Alla seconda prova uno che se ne esce con una delle canzoni più usate come basi di trailer (Sunshine, Il Signore degli Anelli: Le due Torri, Il codice da Vinci, 300, Babylon A.D.,Hitman, ecc) ed una delle canzoni più epiche e maestose degli ultimi anni, beh, come minimo non è uno scarso. Direi proprio di no. (direi anche) Cazzo. Comunque è sempre una colonna sonora con un grandissimo pezzo. Ma sempre di colonna sonora di parla.
Ah, se non conoscete Lux Aeterna. Vergognatevi.

Insomma, come al solito mi dilungo. Dicevo del mio disamore verso le colonne sonore. Clint Mansell invece ci va matto. Ne fa un botto. Ma ecco che torna il suo (vecchio) amico Darren. Si riuniscono per l’ennesimo film di quest’ultimo. The Fountain. Clint decide di omaggiare il suo amico regista facendo le cose in grande. Chiama i Mogwai. Chiama i Kronos Quartet. Mica i primi due che passavano di li. Mica due qualsiasi. Mogwai e Kronos Quartet. Se non sapete chi sono, beh, bah, mah.

Ne parlano cosi cosi (del Film). Non lo vedo (pazienza). Ma Clint. Ma i Kronos Quartet. Ma i Mogwai. Insieme. Insomma. Stuzzica la cosa. Ascolto la colonna sonora. Ascolto “The Last Man” . Pianoforte (Clint). Viola, Violini, Violoncello (Kronos Quartet). Lunga e struggente. Non male, davvero non male. In “Holy Dread” e nella successiva/correlata “Three of Life” finalmente si sentono anche (schitarrare) i Mogwai. Splendido crescendo nel finale. Gran pezzo anche questo. Ma vuoi vedere che riesco a reggere tutta la colonna sonora?

Ma va là, è una colonna sonora ed io non ho neanche visto il Film. Come potrebbe piacermi? Poi c’è “Stay with Me”. Intro di violini. Poi entra il Piano. (E) mi si blocca il respiro. Una cosa pazzesca. Una cosa che lascia senza parole. Che trafigge l’anima (ne avrò una di carta pesta, che vi devo dire).
Una cosa che ti fa dire che le colonne non sono male. Ma la verità è che questa non è una colonna sonora. Si. Ok. C’è il tema ricorrente (come ogni colonna sonora). Ma c’è anche “Death Is The Road To Awe” che è una piccola “Lux Aeterna”. “Death Is The Road To Awe” con quei suoi cazzo di crescendo. Con i singoli strumenti che si sommano mano mano. Attimo dopo attimo. E quelle batteria (Mogwai) che scandisce il tempo. Magnificamente. Fino al coro finale sceso dal cielo che incorona la chiusura del pezzo. E che dire di “Together We Will Live Forever” (pezzo finale) che già dal titolo sai che non sarà cosi (che insieme vivremo in eterno) è quindi giù di fazzolettini?

Insomma, io il film non l’ho visto. Ma The Fountain è un album che ho ascoltato all’infinito. Un album, capito?
Ah!

Death Is A Disease.
Death Is The Road To Awe.
Punto.

-.-.-.-

Come non quotarlo? Anche se ammetto di non conoscere i Mogwai e i Kronos Quartet, quindi provvederò a cospargermi il capo di ceneri!

Dicevo, la recensione mi fa sorridere. Non tanto per l’ironia del tizio, quanto perché anch’io ho ascoltato decine di volte la colonna sonora, per anni, senza mai decidermi a guardare il film.

Dev’essere perché mi piaceva così tanto, e mi toccava così profondamente, che temevo che il film al confronto mi avrebbe deluso.
Una musica riesce ad essere molto più diretta di quanto possa esserlo un film, soprattutto se non è nato dalla mente di qualche genio visionario che abbia realmente capito cosa voglia dire comunicare per immagini.
Sono esigente in ambito cinematografico, e anche se mi adeguo a vedere di tutto, riesco ad apprezzare realmente solo pochissime cose.

Aronofsky mi piace, da impazzire. Così le aspettative erano raddoppiate…e The Fountain restava a vegetare, in attesa.

Non pensavo di poterlo dire un giorno, ma l’attesa è stata ripagata. Infine l’ho visto, ed è stato intenso, struggente, completo.
La ridondanza di immagini e l’eccesso di magia senza logica che permea tutto il film è assolutamente necessaria, e non per stordire lo spettatore o dimostrare un qualche talento registico, ma perché è l’unico modo di restituire la sensazione del mistero della vita.


“..la potenza delle immagini (come in Requiem For A Dream) serve a creare quella angoscia di fondo nello spettatore, che produce la condizione iniziale per poter vedere un film di Aronofsky: la completa disposizione ad assorbire il messaggio visivo. Durante la proiezione il senso d’angoscia costringe ad assimilare tutte le immagini senza elaborazioni a priori, trasformando la visione da una semplice analisi ad una esperienza emotiva. In The Fountain il senso di misticità che permea il film crea questo rapporto di dipendenza in maniera tale da permettere allo spettatore di vivere il film nella maniera corretta, cioè avvertendo dentro di se quella sorta di stupore/angoscia/paura esistenzialista che si prova nel ragionare sulla vita e sulla morte.”


Sprecare ulteriori parole sarebbe un delitto, toglierebbe al mezzo visivo la potenza che gli compete, e che si fa prorompente in mano a registi come questi, che non hanno nulla da elemosinare ad altre arti parallele.
Al contrario, immagini e musica creano un connubio spettacolare, e mi chiedo se anche il film visto senza colonna sonora riuscirebbe ad essere meraviglioso come lo è quest’ultima, di per sé.






(Clint Mansell – Together we will live forever)

“Per tutta la vita combattiamo per essere completi, per raggiungere uno stato di grazia. Pochi ci riescono, molti arrivano al momento della morte scalciando e strillando così come sono venuti al mondo.”

“Questi sono tempi bui, ma ogni ombra per quanto profonda è minacciata dalla luce del mattino.”


Mi piaceva il titolo, quando l’ho scelta. E mi piaceva il modo in cui riusciva a farmi emozionare imponendosi alla mia mente e al mio cuore senza alcun corollario, senza immagini, parole o motivazioni.
Soltanto una musica completa in sé. Bellissima.

Non sapevo nemmeno che, come nel film, quel “forever” nella realtà sarebbe stato impossibile.
E non sapevo neppure che anche nel film ci fosse una storia partorita dall’immaginazione, un amore troppo esigente, una morte già celata nelle stesse parole “together…forever..”

Non sapevo che anche l’amore della mia fantasia avrebbe trovato presto la fine, e che sarebbe stato sepolto per permettere a nuova vita di fiorire, in forma diversa, nella realtà.

E’ stato un viaggio strano, al confine tra mondi troppo diversi, in un limbo malato, sospeso tra sogno e realtà.
E’ stato un cammino privo di logica ma pieno di sensazioni intense, di pugni sullo stomaco forti come i turbini di immagini oniriche del film.
E il viaggio mi ha portato infine all’accettazione, alla rinuncia, a fare pace col tutto. Proprio come il protagonista del film.

Dal seme piantato sulla tomba dei miei sogni infranti è nato un albero nuovo, magnifico.
Le stelle sarebbero dovute morire prima o poi, ma la nuova vita che ora possiedo ripaga ogni perdita.

Nonostante tutto, mi piace figurare nella mia mente un cambio di scena repentino, l’obiettivo che torna a osservare una dimensione temporale diversa, surreale, e un fermo immagine su due figure abbracciate nella neve, sotto le stelle. Loro sì…loro possono vivere per sempre.




***

Rivedo i boschi del nord, gli alberi maestosi tesi verso un cielo limpido, mio padre che taglia la legna e i primi fiocchi di neve che scendono come una lieve poesia a baciare la terra scura.
Mi sembra di poter sentire ancora il canto lontano degli uccelli che iniziano a migrare, e la melodia dolce dello scorrere del fiume Neverwinter.
Chiudo gli occhi per fermarne l’immagine così nitida e mi concentro sugli odori: la terra bagnata, il legno che brucia nel camino, e il profumo intenso delle tisane che preparava Sheela per mio padre la sera quando rincasava dal lavoro.
Una sensazione di pace e una sinfonia solitaria di bellezza perduta.

Riapro gli occhi, ed ombre lunghe e silenziose si estendono ad avvolgere in una morsa di rimpianto quei ricordi così puri e candidi come la neve.
D’improvviso l’acqua riversa il suo abbraccio attorno alla roccia, e la decadenza gocciola dall’inquieto vuoto dove il ghiaccio si forma, dove la vita finisce. La roccia viene inghiottita dal flusso cremisi, e la marea rossa scorre al di là dell’eburnea ferita, in una danza contorta.
Il mio sacrificio si perde in questo fiume di ricordi: un’onda violenta e impetuosa per porre fine al tempo.
Uccelli rossi fuggono dalle mie ferite e ritornano come neve cadente per spazzare il paesaggio, un vento tormentato solca le terre deserte, e l’amara nevicata diviene solo un’ode infinita al silenzio.


Nel blu del cielo di mezzanotte un’ombra mi insegue e mi inebria, riemergendo dal buio di un vuoto perpetrato senza colpa, tornando ad invadermi l’anima e il cuore con la violenza di un uragano al quale non voglio sottrarmi.
Il nostro paradiso è a portata di mano, quello in cui mi trascina senza chiedermelo, bruciando le mie ali di carta fino al punto di non ritorno, fino a divorarmi il cuore solo per poi ricominciare ancora e ancora in una corsa senza fine.


E ora che so che mi ha mentito, che dietro quel silenzio c’erano scheletri di un passato mai dimenticato, come posso fidarmi ancora con la leggerezza e il candore di una stupida ragazzina illusa?
Come posso ingoiare questo senso di infinita tristezza per le promesse tradite?
Come faccio a conciliare le stelle con questi macigni che mi ritrovo tra le mani, se non ho più nemmeno l’innocenza della sognatrice che ero?

Il suo chiaro sorriso incantato, che abita i miei pensieri anche in questo istante, riemergendo dai sogni che mi parlano di lui, mi riporta adesso al giorno in cui ho imparato che nulla è per sempre, e che la buona volontà mascherata di sorrisi è solo un altro imbroglio dei suoi.
Posso lasciar passare tempo e tempo ancora, ma ho la sensazione di aver perso qualcosa, e non riesco a comprendere il significato delle mie convinzioni interiori, alterate da tutto quello che mi è passato addosso.
Dovrei saperlo che il tempo consuma la gioia quotidiana, che non resiste fino al giorno dopo. E allora cosa mi resta?
Verso il cielo cerco la mia dimensione, e pietra dopo pietra continuerò a costruire il mio rifugio, perché tutta la mia devozione possa trovare un luogo sicuro nel quale cadere ogni volta che il cielo mi lascerà precipitare.

E’ semplicemente troppo arduo soffiar via tutti questi frammenti di stella. Vorrei poter volare via, lontano, in un luogo d’incanto dove ancora poterti sentire completamente mio. Vorrei credere ancora alla luce nei tuoi occhi, alla scintilla di sogni senza fine, ma il desiderio che mi striscia dentro mi fa recedere e nascondere, per cercare rifugio in una forza interiore che non mi farà smarrire.
Cercavo una ragione e la mia strada nella luce, ma ho perso la via delle favole, e migliaia di ricordi dimenticati rimangono scolpiti sulla pietra: simboli della mia fanciullezza perduta.
Nel vento adesso fluttua un sogno, e centinaia delle mie promesse e giuramenti spezzati, portati via dalla corrente, artefatti di quel che un tempo ero.

Leggo i segni nelle stelle, interpreto scritte lasciate da scie argentate, e il vento notturno ulula la sua litania, cantando alla notte la favola dei buoni propositi traditi.
Potrebbe essere la più spietata o la più dolce di tutte le notti, invece è solo un momento che si prolunga nel chiarore del suo pallido sorriso.
Mentre i fiocchi silenziosamente cadono, resta solo un ricordo lontano di cose non fatte, un ritorno all’Innocenza, un viaggio indietro nel Tempo, quando ogni cosa sembrava chiara e pura.



(Memorie di Liv Moonshadow, oracolo di Selune) 

***

- Sono immersa nella luce del mattino. -

martedì 3 gennaio 2012

Remedy Lane

Fare un viaggio a ritroso, immergersi nella memoria e scavare nel passato. Navigare attraverso le nebbie del tempo per approdare a sponde dimenticate, abbandonate, piene di fantasmi e dirupi scoscesi.

Nulla di più banale: il passato che resta incollato addosso, lo sguardo che si volge indietro alla ricerca di una riconciliazione.
Una terapia del dolore attraverso ciò che siamo stati, per capire ciò che siamo, ciò che non vogliamo essere, e ciò che realmente ci rende liberi.

“Sono fedele al mio cuore ora. Io sono me stesso.”

Una riflessione che diventa introiettata, che va a frugare nella soffitta dei ricordi per trovare un filo rosso che contraddistingua il sentiero salvifico, il “sentiero del rimedio”.

Remedy Lane. Uno dei concept più belli che mi sia capitato di ascoltare. Non riesco a non amarlo con maggior intensità ad ogni tassello in più che scopro, mentre cerco di mettere insieme i pezzi complessi di un album che mi ha colpita in profondità.

Sono stata stregata tempo addietro da queste musiche, ma solo adesso sono qui, indaffarata ad appuntare con diligente devozione gli ingredienti dell’incantesimo a cui son soggetta.

“Se siete alla ricerca di una band che suona proprio come il vostro gruppo preferito, dimenticatevi di noi. Se siete alla ricerca di una band che vi farà dimenticare la vostra band preferita, noi siamo qui. Camminate nel sentiero del rimedio un paio di volte e non sarete mai più gli stessi.”

C’è un’umanità disarmante che trapela dal protagonista del concept: quest’uomo mezzo inventato, mezzo vissuto, mezzo creato per dar voce fittizia a quel che c’era di troppo personale nelle memorie di Daniel.
Un alter ego che percorre la strada della ricerca e della redenzione al posto del suo autore, che ama e si dispera e urla intrappolato nelle grinfie di una vita che non lascia scampo, invocando la tregua di un amore che non sarà mai come lo vorrebbe.

“La libertà è uno stato mentale.”

Non servirà a niente cercare il suo grande amore, illudersi che lei possa farlo sentire di nuovo vivo. E non servirà nemmeno disperarsi per tutto quello che è andato perduto, per quello che sarebbe potuto andare diversamente.
Alla fine…
“Saremo sempre più umani di quanto desideriamo essere."

Il sentiero del rimedio, che affonda le sue orme nel passato, non offre soluzioni né risposte, ma predispone l’animo e il cuore affinché possano accettare una coscienza nuova:
“Solo vivendo troverai le risposte. L’amore e la vita ti daranno molte possibilità. Dalle tue mancanze impara a perdonare.”

***

Ho capito che non posso darmi alle fiamme e sperare di purificarmi per rinascere in una nuova forma perfetta.

E non posso nemmeno avanzare portando il peso di pesanti catene ancorate al passato.

Non posso guardare attraverso me stessa senza attraversare gallerie di specchi e ricordi velati: io sono piena di tutte le vite che porto con me.

In parte sono già riuscita a costruire forme nuove plasmando argilla del mio passato. Ho affrontato qualcosa che mi terrorizzava e ho scoperto di poter vincere.

Sono guarita, ma ho ancora molto lavoro da fare.
E ho anch’io la mia strada del rimedio, devo solo decidere di percorrerla.

Lo voglio fare, lo sto già facendo, a modo mio.
Ho scelto la fotografia: voglio esorcizzare il mio passato, voglio trovare anch’io la mia libertà, dentro di me, indipendentemente da chi avevo/ho intorno.

Il viaggio è soltanto appena iniziato.



***

"Sometimes forgiving is too much like self abuse.
Sometimes, forgiving will just take you one step too far, and you find yourself on Remedy Lane"




Calpesto le mie stesse orme. La strada è limpida.



“Beautiful crying young eyes. Blackened and bruised, learning how to see.”

(

Io ti ho dato la libertà, tu mi hai guarita dalla solitudine.



"It’s just another small thorn in my crown"



Sapevo leggere,scrivere e contare,ma non sapevo individuare le tracce di una volpe.



"To be honest I don’t know what I’m looking for - who to be - sitting here as once before"



I luoghi cambiano più in fretta delle persone. Non ci si può più sedere sui ricordi.



"Let me chase it all, break my wings and fall, probably survive. So let me fly.."



Una in due. Due o nessuna. Appendo sogni come abiti già messi.



"He has walked the roads, turning bleak, a child of Entropia, setting himself on fire. Seeking a distant past, for a way out"



Ho vent’anni, i capelli biondi, e sorrido nelle foto.



"but I saw so much of me in you, the me I’ve missed"
“Love and life will give you chances. From your flaws learn to forgive.”




“..anni che non vado sul mio tetto di notte al freddo..
anni che non odo la tua voce..
è come stare anni senza guardarsi un tatuaggio.
E la cosa brutta sai qual è? che invecchierai senza che io possa più vederti.. tanto bianca.. così come è stato.”

Il mio specchio. Attendo il giorno in cui si spezzerà.



"I leave no shadow when I’m alone"



Le ombre vanno tenute alle spalle.



“And then after all it lead me here to wake up again”



Anni scanditi in silenzio. Rintocchi mortali. L’eterno ritorno.



“They built up a world so wonderful, so pure and tense.
Stained only now and then by the blood of their young innocence”




Come un cieco ubriaco di colori. Devo riempire il vuoto di fiori.