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"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

martedì 31 gennaio 2012

Melancholia



“Il mio non è proprio un film sulla fine del mondo, ma è un film su uno stato della mente. E’ legato a un momento malinconico della mia esistenza.
[…] è anche in parte basato su qualcosa che ho imparato dal mio analista: di fronte a una grande catastrofe, una persona infelice reagisce con molta più calma di una normale che, invece, tende a precipitare inevitabilmente nel panico.”

- Lars Von Trier -

Melancholia è un pianeta azzurro, un astro celeste fluttuante nell’immensità dell’universo, un corpo in movimento secondo leggi del caso, che segue traiettorie ineluttabili dettate da necessità cosmiche.
E’ un’apparizione bluastra nel cielo, una seconda luna più luminosa e incantevole. Melancholia ha un fascino irresistibile, non si può non guardarlo con ammirazione, come si fa con le miriadi di stelle o con la luna nei suoi momenti più belli.
Ma Melancholia ha una bellezza fatta di morte. E’ il destino terribile a cui la terra va incontro, è un corpo estraneo e sconosciuto che arriva da chissà quale estremo di galassia per portare un messaggio di distruzione, per attuare una qualche purificazione attraverso l’annullamento.

Non è un film sulla fine del mondo, lo dice anche Lars. Niente allarmismi o catastrofi o le solite scene ad alta tensione che mostrano popoli in fuga.
Non conosco nessun altro che sappia descrivere con tanta profondità le patologie dell’animo umano. Non pensavo nemmeno che esistessero immagini in grado di “dire” qualcosa che sfugge persino alla comprensione intellettuale, qualcosa di sempre indefinito, solo approssimativamente descrivibile e controllabile. Qualcosa di etereo e diffuso come il malinconico azzurrino di un pianeta in collisione. Tutto questo prima di vedere un film di Lars von Trier, per la prima volta, qualche anno fa.

L’indicibile, quello che Rilke chiama la “cosa grande” (per non saper trovar altro modo di descriverlo a chi non l’abbia provato in prima persona), diventa magicamente visibile.
Ed è lacerante proprio perché coglie nel segno.
L’immagine non è copia fedele di nulla, non sa definire né descrivere uno stato distorto della mente, però può essere analogia, ed avvicinarsi così tanto al nucleo autentico della cosa, da riuscire a far accapponare la pelle.
Il cinema è una scatola magica delle meraviglie, ma ogni meraviglia è di per sé qualcosa che sfugge alla comprensione, dunque ha in sé tutte le caratteristiche del terribile. Questo me l’ha insegnato Lynch.
Von Trier invece sa giocare con la bellezza tanto quanto con la psiche. Sa perfettamente come creare immagini che si insinuino a guisa di fantasmi nel subconscio di chi è rimasto senza barricate sicure.

Melancholia è uno stato mentale. La depressione è una malattia mentale. Justine è depressa.
La fine del mondo non la sconvolgerà poi tanto, perché ci ha già pensato la vita a logorarla e dilaniarla. Ci hanno pensato quei movimenti rallentati fino all’esasperazione, quei fili troppo spessi ed aggrovigliati che trattengono il passo, quella sensazione diffusa di struggimento, di impossibilità di vivere normalmente anche le cose più insignificanti.

La fine è quasi liberatoria, è necessaria. La fine arriva al culmine di una tragedia annunciata sin dall’inizio. La fine è inevitabile. E la natura, sempre così superiore all’uomo nella visione di Von Trier, era già pronta ad accettarla.
Il microcosmo in cui si svolge l’intero film, costruito con immagini di una bellezza ammaliante, giocando sul filo dell’appagamento estetico proprio solo della grande Arte, sembra quasi una piccola isola dei morti alla Bocklin.
In quest’isola si mette in gioco l’umanità in una danza tra vita e morte, e non l’umanità nel senso di genere umano, ma di psicologia profonda, di “sentire” umano.
Il perfetto equilibrio/paradosso tra le due donne è straordinario, e la sensazione di angoscia nei confronti del semplice esistere non è mai stata così inspiegabilmente “piacevole”.



“Sì la vita non ha alcun senso, ma assistere alla fine del mondo non è poi così terribile: tutti prima o poi moriremo. Da questo punto di vista considero ‘Melancholia’ un film molto positivo, quasi una commedia.”

- Lars Von Trier -
 


 

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