~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

Original Blog -> Nepenthe


- EviLfloWeR -

* photos on flickr *
Lunacy 2 - Lunacy 3 - Lunacy 4
Lunacy 5 - Lunacy 6 - Lunacy 7 - Lunacy 8
Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

sabato 28 aprile 2012

Memento Audere Semper







- I sogni del Poeta nella dimora il Vittoriale, singolare,
iperbolica e decadente, dove trascorse gli ultimi anni della
sua vita, tra i diecimila oggetti collezionati e una nave vera
incastrata nella roccia in giardino. -






Alla scoperta del lago di Garda, nei luoghi amati dal poeta Abruzzese, dal Vittoriale al duomo di Salò, dove si può riscoprire la storia e la leggenda di D’annunzio.

"Il lago è d’una bellezza improvvisa, indicibile... Il lago ha qualcosa di pudico. S’avvolge in un velo argentino, e lascia vedere qualcuna delle sue grazie rosee...."





L’amore di D’Annunzio per il lago di Garda sbocciò nel 1917 durante un volo di guerra. Sgombrata nel 1921 la città di Fiume, è sulle sponde del suo Benaco che il Vate decide di stabilirsi: vicino alla linea del fronte, a un passo dal Brennero, ricche della rigogliosa vegetazione segnalata già nei Baedelcer di metà Ottocento.





A Gardone Alto, Villa Thode, di proprietà dell’illustre critico d’arte che ha sposato una figlia di Cosima Liszt, in nulla lascia intravedere il futuro Vittoriale, sontuosa cittadella la cui colorata magnificenza lo risarcirà dello scacco politico che subisce dall’accordo Mussolini.





Ma un viale folto di rose, il fiore prediletto, è per lui un’irresistibile lusinga. Come il pianoforte collocato nel cuore della casa: quei tasti aveva premuto la mano virtuosissima di Liszt, mentre l’ombra di Cosima Wagner sembra ancora aggirarsi tra le stanze. Per "stodeschizzare" la villa, D’Annunzio avvia subito i lavori, alloggiando al Grand Hòtel e all’Hòtel Savoy e prendendo i pasti nelle trattorie locali dove " si frigge divinamente il pesce del lago". Intanto, attende alla conclusione del Notturno, le sue memorie di guerra.





La partecipazione agli eventi sportivi della Riviera rappresenta il suo debutto nella società locale. Sulle acque del Garda vince il record mondiale di velocità marina. Viene acclamato Alto Patrono del nuovo Club Motonautico Gabriele D’Annunzio che ha sede accanto alla darsena del Casinò di Gardone. Nella vicina torre San Marco ormeggia i suoi motoscafi: il Mass di Buccari e lo Spalato di Bisio. "Vecchio canottiere del Tevere e dell’Aniene", si definisce poi con compiacimento. E presenzia alle " regate nazionali remiere " indette dai Canottieri Garda di Salò, da lui ribattezzate "Argonali del Remo".





Nel 1921 D’Annunzio pone sulla porta d’ingresso di Villa Thode un cartello:
"Clausura et silentium". Nasce il Vittoriale. E’ però la marcia su Roma, l’anno successivo, a determinare le modifiche radicali della nuova residenza che D’Annunzio acquista con un prestito bancario che mai salderà. Tanto più che il fascismo l’ha " usurpato " - il termine è suo -imitandone gli slogan, i discorsi dal balcone, il balzo all’indietro e in avanti dal rilancio della Roma imperiale alle grandi innovazioni del futurismo.





Il Vittoriale intende sovrapporre al Vittoriano, monumento sabaudo all’Italia unita della Roma fascista, nella quale però il Vate non mise mai piede. Non a caso la cittadella di D’annunzio, per un’area di nove ettari, si erge come sacrario della Grande guerra vittoriosa, guerra che ha condotto a termine il Risorgimento con il riscatto delle terre irredente. Badi Mussolini: il vincitore è lui, D’Annunzio, eroe a cui prima o poi l’Italia si rivolgerà come al salvatore della patria poiché il suo carisma è in grado di scalzare qualsivoglia "uomo nuovo". Questo il disegno del Vate nazionalista, circondato dai fedeli reduci fiumani .





E quando si avvede che i conti non tornano e il suo vivere defilato è contro tutti-"Aria, aria, e compiacenza di quel che mi piace, e convenienza di quel che mi pare ", inizia un sottile gioco beffardo.
Dona il Vittoriale al popolo italiano con un solenne atto notarile steso di suo pugno, ottenendo i finanziamenti necessari a rendere la dimora sempre più grandiosa "Io ho quel che ho donato".





Raramente frequenta i salotti rivieraschi, tra questi villa Rimbalzello. Ad attrarlo qui non è tanto l’ospitalità di Madame d’Espaigne quanto l’avvenenza della sua giovane cameriera Angèle che ribattezzerà Jouvance. Le sue passeggiate lo portano più spesso al Duomo di Salò - uno del "securi porti dell’arte" - o alla vicina comunità del frati cappuccini di Barbarano per dissertare sulla vita e l’ascetismo di Padre Pio e San Francesco. Ogni mira politica è lasciata ormai alle spalle per allestire la cittadella a perenne memoria di sé.





Mentre, giorno dopo giorno, esigendo il titolo principesco ma rifiutando la carica di senatore a vita, snobba Mussolini: "Caro Ben ", gli scrive disinvolto come un’amante. Pretende che venga costruita la strada Gardesana, " il meandro di Bennaco ", stratega di quel turismo culturale di cui è l’inventore e che ancora oggi fa uno dei musei più visitati d’Italia. Promuove competizioni sportive , la costruzione di ville e alberghi con nomi fascinosi. Significativamente chiama invece l’ultima ala del Vittoriale, Schifamondo.





Qualche volta la vanità gioca brutti scherzi. Gabriele D’Annunzio allestì il suo studio al primo piano del Vittoriale o meglio, della Priora, la parte antica nella quale trascorse gli ultimi 17 anni della vita.
Lo chiamava l’officina, perchè si definiva operaio della parola. L’umiltà che appare da questa espressione non deve fuorviare, è del tutto falsa. Vero, invece, è che grazie ad uno stratagemma architettonico, il Vate pretese di sottolineare la sua statura ( in senso letterario , ovviamente ): mantenne abbassata l’architrave della porta d’ingresso così che chiunque salisse i tre scalini che la precedevano dovesse chinarsi per entrare al cospetto del Vate. Chiunque non fosse un nano. Ma un giorno il poeta distratto, che pur non era un gigante, prese anch’egli una zuccata formidabile. Che vergogna: il temerario che aveva sfidato le contraeree volando su Vienna, ferito dalla sua stessa astuzia.





L’Officina, bernoccoli a parte, è l’unica stanza vagamente normale di tutto il Vittoriale: grande, luminosa, con pareti dal muro visibile. Due scrivanie, per lavorare in contemporanea senza attendere che l’inchiostro si asciughi, libri, cofani e cofanetti, vocabolari disposti su scaffali obliqui, a portata di mano. Un busto di Eleonora Duse, pronta a vegliare sui momenti creativi: ma su quella presenza ingombrante, destinataria d’amore e di rimorso, D’Annunzio posava un foulard ogni volta che entrava. Si sentiva più libero .





Tutte le altre stanze della Priora ( luogo appunto, conventuale ) di normale hanno ben poco. Piccole, cupe, sovraffollate di oggetti; pavimenti, pareti, soffitti ricoperti di tappeti, stoffe, drappeggi. Da quando aveva perso un occhio, D’Annunzio temeva la luce, la mascherava, la attutiva: e ovunque domina una penombra densa di inquietudine. Detestava il rumore, e i locali, angusti e avvolti nei libri, nei quadri, nei tendaggi, danno un angoscioso senso di soffocamento. Detestava anche il freddo, e d’inverno teneva questa polverosa foresta di cose a una temperatura non inferiore ai 30 gradi. Il Vittoriale vale una visita, che è un viaggio nel decadente e il surreale; ma penso che poche persone normali potrebbero pensare di vivere in una simile dimora. Lo stesso Vate, all’inizio pensò di trascorrervi un periodo temporaneo, giusto per finire il Nettuno.





Poi spinto forse anche dal fatto che la villa, confiscata in base alla legge del 1918 al critico d’arte tedesco Henrich Thode, poteva forse essere restituita alla vedova, la comprò e la visse a lungo come il luogo della propria morte. I soldi, 260.000 lire compresi i mobili e i 6250 volumi della biblioteca, se li fece prestare da una banca.





Quando nel 1921 arrivò quì, sul colle di Cargnacco, contrada di Gardone Soprano, splendida vista sul lago, D’Annunzio era al massimo della sua fama, i diritti d’autore gli permettevano di fare una vita paragonabile a quella di un miliardario di oggi. Ma col denaro aveva sempre avuto un rapporto controverso di uno spendaccione viziato. Già dalla Capponcina, la casa toscana che anticipava la ricchezza mitologica del Vottoriale era dovuto andarsene ingloriosamente, abbandonando tutto ad un esercito di creditori infuriati.





La sua mente fertile inventò allora un piccolo gioiello, si direbbe oggi, di ingegneria finanziaria: donò tutto allo Stato, in cambio di un cospicuo finanziamento che gli permettesse di azzerare il debito e di fare i lavori ambiziosi e monumentali. Questo fa leggere nella sua vera chiave uno dei motti più celebri, che sta iscritto proprio all’ingresso del Vittoriale: "Io ho quel che ho donato". In altre parole sto in una casa che non è più mia.





Sapere che il Vittoriale era " degli italiani ", amplificò forse il suo gusto celebrativo e cimiteriale che lo spinse a costruire un monumento a se stesso: temeva forse di essere dimenticato? Decise dove doveva essere la sua tomba, che svetta sul cucuzzolo più alto della collina, alla sommità di un mausoleo circolare in marmo bianco, gelido quanto un padiglione di anatomia. Creò in vita, la propria camera ardente, una stanza sghemba che chiamava "del Lebbroso", dove sostava in raccoglimento negli anniversari più dolorosi. Oltre una balaustra , su un pavimento rialzato, un piccolo letto spoglio, macabro quanto una bara, doveva accogliere il suo corpo senza vita: che qui fu deposto tra il 1° e il 2 Marzo del 1938.





Aveva un desiderio piuttosto originale: voleva che fosse esposto, una volta tagliato, il suo orecchio sinistro, che considerava la parte più perfetta del suo corpo. Ma il desiderio restò tale, e la sua salma integra.
Gli anni del Vittoriale sono quelli della vecchiaia. Vi arrivò a 58 anni e vi morì a 75. Una vecchiaia che non fu generosa: finì per non denudarsi più davanti alle sue amanti, alle quali si presentava vestito di un camicione da notte con un’unica apertura al posto giusto, ma l’apertura era contornata da un anellone d’oro a 18 carati, dal quale offriva il suo "attrezzo".





Si vergognava del suo corpo ormai devastato e dei soi denti malandati. Ma la necessità di incontri femminili lo accompagnò fino all’ultimo, sofferente com’era di una malattia scomoda ma maledettamente invidiata: il priapismo. Di statuette falliche è disseminata la sua camera da letto ( la cosiddetta Stanza della Leda ).





Di donne, grazie anche alla sua fama, fu circondato fino all’ultimo, anche se non si sa di quante lunghezze seguì il record assoluto appartenuto a un altro scrittore insaziabile, Georges Simenon, che ne collezionò circa diecimila. Erano, quegli incontri, momenti di furore creativo. Una giovane prostituta, certo tutt’altro che colta, nell’atto di darglisi un giorno sussurrò:" Mettimicimelo ". D’Annunzio, forgiatore di parole, sobbalzò folgorato dalla poeticità primitiva di quel ritmo inconsapevole. Luisa Baccara, la pianista che fu sua discreta compagna fin dagli anni di Venezia e di Fiume, e che al Vittoriale visse sempre in punta di piedi, ebbe la suprema dote della pazienza.





Al Vittoriale, ma relegata in una dépendance, Villa Mirabella, visse anche la moglie di D’Annunzio, la duchessa Maria di Gallese. Ma si tratta di presenze che fanno soltanto da sfondo al suo carattere protagonista. In questa casa piena di oggetti e di simboli, D’Annunzio è solo, celebra se stesso, soltanto se stesso. Capitava che avesse ospiti a pranzo ma che fosse la Baccara a mangiare con loro, nella sala della Cheli ( la sala da pranzo dedicata alla sua tartaruga morta di indigestione).
Lui preferiva consumare del cibo frugale, un tè, dei biscotti, sullo scrittoietto della Zambracca, la stanzetta accanto alla camera letto, un po’ spogliatoio, un po’ luogo di lavoro e meditazione.





Nella parete dietro la scrivania, uno stipo dove teneva le medicine: meglio, la cocaina che gli procurava, pare, anche una cameriera altoatesina poi sparita nel nulla. Si disse che era una spia dei nazisti e che aveva il preciso compito di intontirlo. L’ipotesi non è inverosimile, visto che l’alleanza tra Mussolini e Hitler non gli era mai andata giù.





A dire il vero non gli era mai andato giù nemmeno Mussolini, che considerava volgare e troppo lontano dal proprio stile lo stesso dittatore, probabilmente, lo fece controllare dalle pattuglie armate che, ufficialmente, sovrintendevano alla sicurezza del Vittoriale.





Più nazionalista che fascista, convinto di essere uno de gli autentici padri della Patria, il Vate poteva essere un temibile concorrente per il Duce. Ernest Hemingway, nel 1923, scrisse che Mussolini era un bluff, il più grande bluff d’Europa, e che D’Annnunzio era l’unica vera alternativa possibile:
“Un Rodomonte vecchio e calvo, forse un po’ matto, ma profondamente sincero e divinamente coraggioso”.





Più che coraggioso, D’Annunzio si sentiva un vero eroe. Dal volo su Vienna all’avventura di Fiume, alla beffa di Buccari. Era un grande regista e un eccezionale promotore di se stesso: come dire, un sublime fanfarone.
Il Vittoriale è la Celebrazione anche di quest’epopea bellica e patriottica che fu tanta parte della sua vita: nel parco e nella casa, tra gli ulivi o vicino a calchi greci, ogni tanto spunta una mitragliatrice, un moschetto, un’elica, uno stemma della Grande Guerra. Persino una vera nave incastrata nella roccia e fusa col paesaggio. L’auto celebrazione, l’inno a se stesso “diventano” la casa, il giardino, le corti.





Le cose sono una continua, incessante, ossessionante ricerca di memoria. Chi li ha contati giura che nelle stanze del Vittoriale ci siano diecimila oggetti (novecento dei quali nel bagno), ma l’impressione è che siano infinitamente di più: sono 500 solo i cuscini. Bene, ciascuno è carico di un significato, o gravato di un simbolo, o contiene un motto, o ricorda un avvenimento. Tutto è elevato a racconto, a testimonianza. in un lugubre e solitario viaggio immaginario, lento, faticoso.





Al Vittoriale, che solo all’apparenza può sembrare un variopinto mercato delle pulci, Gabriele D’Annunzio dedicò gran parte della sua ispirazione senile; lo sviluppo e l’arricchimento della casa lo impegnarono talmente che le sue più grandi opere letterarie non nacquero qui. La sua arte divenne un’altra, e la spiega lui stesso:





"Non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre pei me un modo di rivelazione spirituale, come uno dei miei poemi...".



martedì 24 aprile 2012

Comptine d’un autre été

- Il sentiero del rimedio.- Continuo a percorrerlo per brevi tratti, ritagliando pezzetti ben definiti che so di poter affrontare. Raggiungo tappe che mi ero prefissata e pianto bandierine sul percorso, per ricordarmi che niente si dimentica ma tutto cambia.

Oggi pensavo a come ricordare un sogno, come classificare una felicità attraverso il dolore, per poter piantare un altro vessillo e proseguire sul cammino.

Sono passati anni. Non sono più tornata nel nascondiglio che ho scavato in un giorno lontano, per provare a celarvi i sogni che tenevo tra le mani.
Sapevo che, lasciati vagare in giro per il mondo, avrebbero certamente brillato troppo. Avrebbero certamente bruciato le mie mani.
Ma volevo che restassero solo miei, custoditi in qualche luogo più fedele anche della memoria.

Ne è passato di tempo, e quel che prima percepivo in una data maniera ora è molto diverso. Ora so che la tristezza e il dolore possono esser soffiati via dal respiro del tempo, e che quel che mi resta dentro è un senso immenso, indescrivibile, di pienezza.
Sì..la pienezza di qualcosa di vissuto, di bello e triste al contempo, ma di vero, autentico, spontaneo, incredibile nella sua semplicità fatta di piccole magie e frammenti di specchi che si incontrano.
Di pezzi di puzzle differenti che senza una ragione combaciano.

C’è stato un tempo in cui non sarei stata in grado di percorrere questo sentiero senza farmi del male. Se ci ho provato, ho certamente fatto l’errore di sostare troppo a lungo presso i crocevia che in precedenza avevo dovuto affrontare.
Oggi non mi sembra vero di poter camminare svelta e leggera, guardando dritta davanti a me.
E so bene che questo miglioramento lo devo al tempo e all’amore, a questo traguardo che mi ha insegnato a vivere.

Perché se tutto adesso mi appare in forme e colori nuovi, se il mio passato posso affrontarlo col sorriso, se quando mi guardo indietro non ho paura di inciampare, è grazie a chi mi tiene per mano.
Sento le mie radici così ben piantate e il mio cuore tanto ben riposto, che posso esser così temeraria da affrontare me stessa sapendo di poter vincere.

Ed è per questo che percorro la via del rimedio solo ora. Perché adesso nulla mi fa paura. Posso ricordare e fermare quei frammenti di immagini che non voglio perdere perché fanno parte di me.
Non temo la nostalgia né il bisogno di rincorrere il passato per dargli una forma che resti. Ora più che mai capisco quanto sia importante rivivere ogni cosa che è stata, guardandola sotto questa luce nuova.


Così rileggo una vecchia storia come se seguissi le vicende di due personaggi in un film. E gioisco e soffro con loro, ma non posso realmente raggiungerli. Mi resta però la sensazione di essere ricca, dentro, da qualche parte nella mente o nel cuore.

Ho vissuto tante felicità e di tutte mi sono riempita. Ma ognuna è così peculiare da non trovar modo di essere messa di fianco alle altre.
Non voglio ricordare la sofferenza che ha portato quel sogno, una volta lasciato a marcire nella realtà. Preferisco chiudere gli occhi e sorridere al ricordo della luce che ho sentito.

E anche adesso che tutto è diverso, adesso che ho attraversato strade e ponti, e strade e ponti ho bruciato alle spalle, sono fiera di poter portare con me qualche ricordo cristallino di una felicità che è stata.
Sono stranamente contenta di sapere che da qualche parte vive il mio specchio, a volte nitido e a volte coperto di fuliggine, ma sempre spietato e fedele nella sua verità d’esistere.



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Remedy Lane
#Ricordi di un Sogno

(vi racconto una storia….)

 


C’era un tempo in cui amavo guardare le stelle avvolta dal chiarore lunare, un tempo in cui le notti erano lunghe e gelide, ma ammantate di preziosi e fragili biancori.
A quell’epoca mi capitò qualcosa di incredibile, di una bellezza tale da farmi dimenticare tutto il resto.

Per inseguire la luce che avevo intravisto sono salita su, sempre più in alto, ed ho iniziato a muovere i miei passi rapidi su una fune sospesa nel cielo.
Lontana da tutto, ero inebriata da quella sensazione di leggerezza, e mi sentivo fragile e precaria, ma sempre più vicina alle stelle.
Volteggiare su quella corda tesa, in bilico sul crinale della vita, è stato il sogno più bello che mai si possa immaginare...



***

<<Ho ascoltato una voce lontana, ero seduto sul tetto del cielo, brillavano le luci sulla mia testa, il vento era tagliente, il cielo nero.
Quella voce cosi lontana, per poco, era stata la cosa più vicina che mai avessi avuto.>>


***

<<Scrivo seduto sul tempo, mentre il viaggio è la mia vita.
Avverto sensazioni, le sento come dita estranee che passano tra le mie.
Sorrido lieve all’infelicità che, intermittente, mi tiene in una morsa di dolore.
Guardo le fattezze di un essere bello infinite volte,
ninfa dagli occhi profondi, disegnata con una piuma sottile...

Aghi di pino, foglie ondulate, alberi spogli e persiane chiuse.
La banalità di un sole stanco irradia tutto col suo grigiore. >>.


***

<<Tra due punti esistono infiniti punti..>>

Con incredibile stupore apro la mia mente decidendo di percorrere vie mai intraprese, il mio percorso mi rende piccolo, finito, tangibile a malapena, come un punto nero su una linea di cui non si conosce inizio o fine.

Il mio percorso mi riempie gli occhi di colori che non ho mai accarezzato, bagliori eterni nel tempo, la maestosità umana mi lascia perplesso, quasi senza parole.

Dormo, ma continuo sulla mia strada interiore, quasi sentendo la fatica come se questo viaggio fosse reale, poi una luce bianca dai riflessi ramati mi colpisce con delicatezza e quasi cado a terra vittima del freddo metallico che mi affligge, quella luce m’irradia, mi sveglia, lascia germogliare in me la vita, come un fiore dai colori delicati.

Alzo lo sguardo verso il cielo plumbeo e vedo scendere infinite gocce, a prima vista trasparenti, eteree, esse cadono, scendono spedite come se stessero viaggiando verso qualcosa o qualcuno, indipendenti.
Se alzo di più gli occhi ne sento quasi le voci e vedo in esse colori d’ogni tipo, riflessi scuri, riflessi chiari, ombre e simpatie.

Ho visto due gocce diverse scendere durante il proprio percorso ed incrociarsi, è stata vita, si sono fuse diventando per un istante una sola cosa, una sola goccia bellissima, dalle sfumature violacee-argentee.

Ho camminato, proseguendo indomito e per ogni passo da me fatto, un granello casuale nella clessidra di cristallo cadeva senza mai esitare nel farlo.

Il mio è stato un cammino nei sogni.

<<..E i miei occhi osservavano i Miei occhi, ed io rimasi folgorato, quasi come se mi stessi guardando in uno specchio bianco.>>

La clessidra ha quasi terminato i granelli, le linee passano sui numeri con velocità feroce, il tempo sa essere spietato e non si è fermato nemmeno un attimo per me.

Sono uscito fuori dal sogno, alzando la testa, mi sono svegliato con gli occhi che mi bruciavano, il mio petto carico di dolore, altre gocce avrei voluto far uscire dalle mie palpebre per seguirne un nuovo viaggio.

***

<<Il problema è che manca Lei.
Come l’aria, come il cibo, come la felicità.
L’esterno è gelido, me ne fotto, ma l’interno sta per raffreddarsi ed ho paura di sentire il dolore.
Ho bisogno, voglio Lei.
Tornerei indietro chilometri e chilometri per rivivere il tempo passato.
Lascerei che il mio corpo morisse per averla per poco.
La libertà d’essere felici, Prigioniera.>>


Ogni odore mi rimarrà in mente,
ogni sensazione sarà cicatrice nelle mie memorie.
Cerchi di non pensare, ma le parole affollano la tua testa, ossessioni, sogni che mutano in realtà.
Quante possibilità su quanti numeri? Un milione?
Quante possibilità che due persone possano trovarsi sperduti nello stesso sogno così, persi soltanto l’uno per l’altra.
E così poco tempo... difronte all’eternità che avvolge l’universo

<<Pezzi di Puzzle diversi che coincidendo casuali creano un’imagine bellissima, artistica e poetica.>>



***


“Temo che non troverò mai nessuno
so che il mio più grande dolore deve ancora arrivare.
Ci incontreremo presto l’un l’altro nel buio”


***

Ti ho stretto a me, il sole ci ha colpiti entrambi, voleva vederci uniti.
Ogni palazzo rifinito con cura, ogni finestra omologata, ogni lastra di pietra ci ha visto!
Abbiamo percorso le viscere della terra a velocità,
siamo stati colpiti dall’acqua e soffiati da un vento tagliente.
Abbiamo percorso vie su vie e percorsi e sentieri distanti, neanche le scarpe ce la facevano più,
ed i piedi dolevano, ma c’era tra noi la voglia di non fermarsi per nulla al mondo.
Siamo stati ricchi di noi tra la povera gente e nessuno poteva dividere ciò che siamo stati.
Una dimora stretta, accogliente, un caratteristico odore mi rimane ancora impresso.
La luce blu della notte, molle dure e caldo afoso.
Due corpi per due vite, unite, in solo capolavoro.
Siamo stati invisibili in mezzo a migliaia di occhi.
Ma i nostri occhi hanno visto solo noi e la tua pelle era setosa e candida.
La tua voce soave, sottile, delicata.
Io sono l’animale, la bestia, tu rimani la strega bianca.

***


“La distanza sta coprendo il tuo cammino,
fa a pezzi il tuo ricordo
tutta questa bellezza mi sta uccidendo.”


***

Luna, bianca, rotonda, lontana, fatta forse di polvere, forse di neve.
Sento ogni muscolo facciale destreggiarsi per mimare quello che sento.
Si, io sento.
Voglio avvolgermi in un mantello nero, assaporare l’essenza di uno scenario gotico.
Cupo, affascinante, Macabro esterno, scarno di eccessi, ricco di ciò che occorre per certi versi.
Brutale, insensato, aggressivo e poi silenzioso e calmo come un lago nero.
Oscuro presagio, oscuro timore per un futuro tetro e freddo.
I miei occhi non riescono a trattenere il vortice creato dai miei desideri, quindi soffrono.
Ma ho fiducia in me, e so per certo, che avrò modo di percepire nuovamente le sensazioni meravgliose.
Questi occhi soffrono perchè ora non vedono più, ma torneranno a vedere e si riempiranno di bellezza.

***




Poi ho avuto paura. Non posso dire di esser caduta: ad un certo punto ho smesso di starmene col viso all’insù, e, semplicemente, sono scesa.
Ho scelto di tornare giù, con la stabilità della terra sotto di me, e la pesantezza di tutto il mio corpo incapace di volare.

Mi sono guardata intorno, ed ho visto che avevo i piedi nel fango, che la neve mi moriva accanto, e la nebbia mi impediva di scrutare lontano; ma ho visto pure la terra fiorire, e le piante crescere rigogliose, ho intravisto la bellezza anche quaggiù, ed ho accettato la mia vita.


***

Tra due punti ci sono infiniti punti.
E se ce ne fottessimo di quelli infiniti, e se saltassimo dal primo all’ultimo?
Avremmo il tempo?
E se tra due punti ci fosse il nulla?
Distanza, spazio, tempo.
Mentre io sento ogni brivido salirmi dalla schiena... La voce di lei che mi lascia ipnotizzato..
Io sono Acqua e carbonio, come mai non sono stupefatto dalla capacità dei mie neuroni, riesco ad essere infatuato di un essere speciale, particolare, mentre sono fatto della sua stessa materia, e sopravvivo con il suo codice genetico.
Intanto, io pian piano muoio, ma morte felice, senza rimorsi, mentre schiaccio questi tasti sono consapevole di ciò che ho.
Stringo le palpebre pensando a ciò che ho perso e piango per quello che non ho ottenuto.
Amo, e mentre amo digrigno i denti. I miei denti.

Io dico addio mentre dai miei occhi scende l’acqua.. il resto è carbonio e tristezza.

***




“Hai detto che avevo gli occhi di un lupo
Cercali e trova la bellezza della bestia.”


***

Io sono l’orso, ne più, ne meno. Vivo nella mia grotta in silenzio, in silenzio passo i giorni, in silenzio piango. Tu lasciami stare lontano, come è giusto che sia.
Io so che sei un individuo fuori dal normale, so che di naturale hai solo la forza d’essere tutto.
E’ bene lasciarmi solo per i campi del mio essere, pianure immense di ciò che produco, birre chiare, gocce di ciò che piango, mentre amo il sole.
Io sono un reietto, frutto di pensieri vaghi, sogni assolutamente sbagliati, e cose che mai nessuno deve avere, io sono le note sbagliate, sono nulla.

***

Io che sono sogni e parole virtuali, io che sono biglietti e orizzonti lontani...
Io che sorrido guardando le stelle, uso il collo per alzare la testa al cielo...
Ripenso e socchiudo gli occhi, nel letto mi divincolo passeggiando sui ricordi..
Ho scatti e voglia di cancellare da me il dolore senza dimenticare il passato...
Per me tutto è innato, semplicemente ti ho recuperato da me stesso,
e una volta che ti ho perso, ho smesso di affrontare le cose con ciò che sono.
Ho avuto modo di conoscere, sono cresciuto, mi rimane solo neve e sole.
Rimane il silenzio, il vuoto tra me e te?
Cosi come un padre che perde il proprio figlio,
o un fratello che perde un amico, ho perso più di quanto potessi guadagnare,
e di me rimane poco, poco più che la voglia di scrivere le mie parole...
Disegnare i suoni con i tasti, attirare le tue attenzioni,
sentirti un pò vicina per quanto lontana.
Io sono Nulla e nulla resto.
Qui.

Ciò che hai lasciato io sarò.
Stella o nuvola di polveri sottili, pelle o compassionevoli situazioni.
Per ogni attimo vivrò momenti e sogni con te vissuti,
per quanto attimi, hanno avuto vita eterna quei momenti trascorsi.
E non riuscirò più ad osservare le immagini con gli stessi occhi di sempre.
Non potrò brutalmente colpire qualcosa senza portare in me il rimorso.
Non sarò l’ultimo, né il primo,
ma è il modo in cui sentiamo le cose che ci rende distinguibili dagli altri.

***

Ricordo il giorno che vissi per poco, vidi l’inverno concentrarsi in un fiocco, un fiocco nordico.
Io mi innamorai di ciò che avevo trovato, di ciò che avevo fatto, mi innamorai di me.
Infinite volte, nessuno può sapere quello che ho saputo.
Saprà il mondo, le mie ossa, e il tuorlo di ogni uovo.
la malinconia è parte della mia vita.
Sai che il silenzio parla, sai che le parole non lette silenziose vivono?
Piangi? Io ho avuto questo. Ne sono felice, del resto sono vivo.

***

Io ho visto ogni forma e ogni luogo. Combatterei contro la morte per tornarvi con la stessa realtà, combatterei fino alla morte per ottenere così poche ore, continuerei ad uccidere eternamente, assicurandomi l’inferno?
Ho paura si, ma quanta ne ho? Mi hanno lesciato, il vento e la luna, mi hanno lasciato solo.
Ora posso salire sul mio tetto ad ululare.
Solo. Ma vivo.
Ho tutto.
Ricordo ogni passo compiuto per quel viaggio, un viaggio nelle mie dannazioni, un viaggio di volo lontano, paure.
Pianti, perché?
Perche ho visto e poi ho perso?
Perche prima ho conosciuto e poi ho desiderato?

Ho niente. Ho visto il mondo.

***

Il mio desiderio quando ti conobbi fu, sapendo che eravamo angeli provenienti da differenti paradisi, di poterti rivedere, di poter essere abbagliato dalla stessa luce dalla quale fui durante la prima volta colpito.
Non ha prezzo desiderare una creatura che non si può avere, la consapevolezza dell’incapacità trasmette emozioni più intense di quelle portate dalla routine quotidiana, fatta di alti e bassi o di eccessi di mediocrità.
La nostra avventura, nella mia esperienza di vita, non ha eguali, materializzazione di un sogno intrigante e folle, spirito di giovinezza ribelle in totale sintonia con l’instabilità delle emozioni.
Paura, dubbio, rimorso, curiosità, gioia, entusiasmo, desiderio, passione, stanchezza e sorpresa.

"Vivi nei sogni", noi lo eravamo, lo siamo stati.

***

“..temo di dimenticarti senza averti compreso a pieno, ricordandoti mentre passeggiamo insieme, io e te e gli umani attorno.”




Perché saremo sempre più umani di quanto desideriamo essere.



Complex shapes

A L G O L



"The violating colors
imagined, non existent
Still so vivid in memories of dreams



The shapes of unreality
nonsensical geometry
No trace of logics
lies for the feebleminded



Justifications for my mind
Representation of this possible demise



These are my dreams…won’t you come in?
And see the lies within, the lies within
It’s all my world
it’s my reality
And in this realm I reign supreme



This is the end
and the beginning of it all
Why don’t you listen to me?



Dreams into dreams
lies to a liar
Negation of desires
my desires



Inside’s my world
outside is reality
And everything that I don’t want to be



Dreams…or demise
Dreams…or demise
Dreams…"


(Algol – Dreams or demise)



“Empathy’s the
law, the false behind the scene
Crumbled temples of the conscience
Maya masks the only path
Truth demised by silent pact



Disingenuousness, this illusion
Clads reality all over you
Mind the filth of mankind
Lay on lies, the line of life



Catch a sight through the pit of lies
The crawling demon is you
not one fucking truth
Staunchly you spit your “true” word
This primal mistake is your own



No way to see it
No way to realize
Appetite drives you
Along with desire


 
Facts without acts are the staging of this life, now
set your own language solution comprehensive to
man-kind this falsehood, pollution, illusion
this life, like a mere game of chess, is a mindfield



Catch a sight through this pit of lies
The crawling demon is you
Not one fucking truth
Staunchly you spit your “true” word
Distressing mistake is your own



Disingenuousness, this illusion
Clads reality all over you
Mind the filth of mankind
Lay on lies, the line of life

Not my fucking truth!!!



Facts without acts are the staging of this life now
set your own language solution comprehensive to
man-kind this falsehood, pollution, illusion
this life, like a mere game of chess,
a mindfield no truth till the end.”


(Algol – Noft)