~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

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- EviLfloWeR -

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Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

sabato 28 aprile 2012

Memento Audere Semper







- I sogni del Poeta nella dimora il Vittoriale, singolare,
iperbolica e decadente, dove trascorse gli ultimi anni della
sua vita, tra i diecimila oggetti collezionati e una nave vera
incastrata nella roccia in giardino. -






Alla scoperta del lago di Garda, nei luoghi amati dal poeta Abruzzese, dal Vittoriale al duomo di Salò, dove si può riscoprire la storia e la leggenda di D’annunzio.

"Il lago è d’una bellezza improvvisa, indicibile... Il lago ha qualcosa di pudico. S’avvolge in un velo argentino, e lascia vedere qualcuna delle sue grazie rosee...."





L’amore di D’Annunzio per il lago di Garda sbocciò nel 1917 durante un volo di guerra. Sgombrata nel 1921 la città di Fiume, è sulle sponde del suo Benaco che il Vate decide di stabilirsi: vicino alla linea del fronte, a un passo dal Brennero, ricche della rigogliosa vegetazione segnalata già nei Baedelcer di metà Ottocento.





A Gardone Alto, Villa Thode, di proprietà dell’illustre critico d’arte che ha sposato una figlia di Cosima Liszt, in nulla lascia intravedere il futuro Vittoriale, sontuosa cittadella la cui colorata magnificenza lo risarcirà dello scacco politico che subisce dall’accordo Mussolini.





Ma un viale folto di rose, il fiore prediletto, è per lui un’irresistibile lusinga. Come il pianoforte collocato nel cuore della casa: quei tasti aveva premuto la mano virtuosissima di Liszt, mentre l’ombra di Cosima Wagner sembra ancora aggirarsi tra le stanze. Per "stodeschizzare" la villa, D’Annunzio avvia subito i lavori, alloggiando al Grand Hòtel e all’Hòtel Savoy e prendendo i pasti nelle trattorie locali dove " si frigge divinamente il pesce del lago". Intanto, attende alla conclusione del Notturno, le sue memorie di guerra.





La partecipazione agli eventi sportivi della Riviera rappresenta il suo debutto nella società locale. Sulle acque del Garda vince il record mondiale di velocità marina. Viene acclamato Alto Patrono del nuovo Club Motonautico Gabriele D’Annunzio che ha sede accanto alla darsena del Casinò di Gardone. Nella vicina torre San Marco ormeggia i suoi motoscafi: il Mass di Buccari e lo Spalato di Bisio. "Vecchio canottiere del Tevere e dell’Aniene", si definisce poi con compiacimento. E presenzia alle " regate nazionali remiere " indette dai Canottieri Garda di Salò, da lui ribattezzate "Argonali del Remo".





Nel 1921 D’Annunzio pone sulla porta d’ingresso di Villa Thode un cartello:
"Clausura et silentium". Nasce il Vittoriale. E’ però la marcia su Roma, l’anno successivo, a determinare le modifiche radicali della nuova residenza che D’Annunzio acquista con un prestito bancario che mai salderà. Tanto più che il fascismo l’ha " usurpato " - il termine è suo -imitandone gli slogan, i discorsi dal balcone, il balzo all’indietro e in avanti dal rilancio della Roma imperiale alle grandi innovazioni del futurismo.





Il Vittoriale intende sovrapporre al Vittoriano, monumento sabaudo all’Italia unita della Roma fascista, nella quale però il Vate non mise mai piede. Non a caso la cittadella di D’annunzio, per un’area di nove ettari, si erge come sacrario della Grande guerra vittoriosa, guerra che ha condotto a termine il Risorgimento con il riscatto delle terre irredente. Badi Mussolini: il vincitore è lui, D’Annunzio, eroe a cui prima o poi l’Italia si rivolgerà come al salvatore della patria poiché il suo carisma è in grado di scalzare qualsivoglia "uomo nuovo". Questo il disegno del Vate nazionalista, circondato dai fedeli reduci fiumani .





E quando si avvede che i conti non tornano e il suo vivere defilato è contro tutti-"Aria, aria, e compiacenza di quel che mi piace, e convenienza di quel che mi pare ", inizia un sottile gioco beffardo.
Dona il Vittoriale al popolo italiano con un solenne atto notarile steso di suo pugno, ottenendo i finanziamenti necessari a rendere la dimora sempre più grandiosa "Io ho quel che ho donato".





Raramente frequenta i salotti rivieraschi, tra questi villa Rimbalzello. Ad attrarlo qui non è tanto l’ospitalità di Madame d’Espaigne quanto l’avvenenza della sua giovane cameriera Angèle che ribattezzerà Jouvance. Le sue passeggiate lo portano più spesso al Duomo di Salò - uno del "securi porti dell’arte" - o alla vicina comunità del frati cappuccini di Barbarano per dissertare sulla vita e l’ascetismo di Padre Pio e San Francesco. Ogni mira politica è lasciata ormai alle spalle per allestire la cittadella a perenne memoria di sé.





Mentre, giorno dopo giorno, esigendo il titolo principesco ma rifiutando la carica di senatore a vita, snobba Mussolini: "Caro Ben ", gli scrive disinvolto come un’amante. Pretende che venga costruita la strada Gardesana, " il meandro di Bennaco ", stratega di quel turismo culturale di cui è l’inventore e che ancora oggi fa uno dei musei più visitati d’Italia. Promuove competizioni sportive , la costruzione di ville e alberghi con nomi fascinosi. Significativamente chiama invece l’ultima ala del Vittoriale, Schifamondo.





Qualche volta la vanità gioca brutti scherzi. Gabriele D’Annunzio allestì il suo studio al primo piano del Vittoriale o meglio, della Priora, la parte antica nella quale trascorse gli ultimi 17 anni della vita.
Lo chiamava l’officina, perchè si definiva operaio della parola. L’umiltà che appare da questa espressione non deve fuorviare, è del tutto falsa. Vero, invece, è che grazie ad uno stratagemma architettonico, il Vate pretese di sottolineare la sua statura ( in senso letterario , ovviamente ): mantenne abbassata l’architrave della porta d’ingresso così che chiunque salisse i tre scalini che la precedevano dovesse chinarsi per entrare al cospetto del Vate. Chiunque non fosse un nano. Ma un giorno il poeta distratto, che pur non era un gigante, prese anch’egli una zuccata formidabile. Che vergogna: il temerario che aveva sfidato le contraeree volando su Vienna, ferito dalla sua stessa astuzia.





L’Officina, bernoccoli a parte, è l’unica stanza vagamente normale di tutto il Vittoriale: grande, luminosa, con pareti dal muro visibile. Due scrivanie, per lavorare in contemporanea senza attendere che l’inchiostro si asciughi, libri, cofani e cofanetti, vocabolari disposti su scaffali obliqui, a portata di mano. Un busto di Eleonora Duse, pronta a vegliare sui momenti creativi: ma su quella presenza ingombrante, destinataria d’amore e di rimorso, D’Annunzio posava un foulard ogni volta che entrava. Si sentiva più libero .





Tutte le altre stanze della Priora ( luogo appunto, conventuale ) di normale hanno ben poco. Piccole, cupe, sovraffollate di oggetti; pavimenti, pareti, soffitti ricoperti di tappeti, stoffe, drappeggi. Da quando aveva perso un occhio, D’Annunzio temeva la luce, la mascherava, la attutiva: e ovunque domina una penombra densa di inquietudine. Detestava il rumore, e i locali, angusti e avvolti nei libri, nei quadri, nei tendaggi, danno un angoscioso senso di soffocamento. Detestava anche il freddo, e d’inverno teneva questa polverosa foresta di cose a una temperatura non inferiore ai 30 gradi. Il Vittoriale vale una visita, che è un viaggio nel decadente e il surreale; ma penso che poche persone normali potrebbero pensare di vivere in una simile dimora. Lo stesso Vate, all’inizio pensò di trascorrervi un periodo temporaneo, giusto per finire il Nettuno.





Poi spinto forse anche dal fatto che la villa, confiscata in base alla legge del 1918 al critico d’arte tedesco Henrich Thode, poteva forse essere restituita alla vedova, la comprò e la visse a lungo come il luogo della propria morte. I soldi, 260.000 lire compresi i mobili e i 6250 volumi della biblioteca, se li fece prestare da una banca.





Quando nel 1921 arrivò quì, sul colle di Cargnacco, contrada di Gardone Soprano, splendida vista sul lago, D’Annunzio era al massimo della sua fama, i diritti d’autore gli permettevano di fare una vita paragonabile a quella di un miliardario di oggi. Ma col denaro aveva sempre avuto un rapporto controverso di uno spendaccione viziato. Già dalla Capponcina, la casa toscana che anticipava la ricchezza mitologica del Vottoriale era dovuto andarsene ingloriosamente, abbandonando tutto ad un esercito di creditori infuriati.





La sua mente fertile inventò allora un piccolo gioiello, si direbbe oggi, di ingegneria finanziaria: donò tutto allo Stato, in cambio di un cospicuo finanziamento che gli permettesse di azzerare il debito e di fare i lavori ambiziosi e monumentali. Questo fa leggere nella sua vera chiave uno dei motti più celebri, che sta iscritto proprio all’ingresso del Vittoriale: "Io ho quel che ho donato". In altre parole sto in una casa che non è più mia.





Sapere che il Vittoriale era " degli italiani ", amplificò forse il suo gusto celebrativo e cimiteriale che lo spinse a costruire un monumento a se stesso: temeva forse di essere dimenticato? Decise dove doveva essere la sua tomba, che svetta sul cucuzzolo più alto della collina, alla sommità di un mausoleo circolare in marmo bianco, gelido quanto un padiglione di anatomia. Creò in vita, la propria camera ardente, una stanza sghemba che chiamava "del Lebbroso", dove sostava in raccoglimento negli anniversari più dolorosi. Oltre una balaustra , su un pavimento rialzato, un piccolo letto spoglio, macabro quanto una bara, doveva accogliere il suo corpo senza vita: che qui fu deposto tra il 1° e il 2 Marzo del 1938.





Aveva un desiderio piuttosto originale: voleva che fosse esposto, una volta tagliato, il suo orecchio sinistro, che considerava la parte più perfetta del suo corpo. Ma il desiderio restò tale, e la sua salma integra.
Gli anni del Vittoriale sono quelli della vecchiaia. Vi arrivò a 58 anni e vi morì a 75. Una vecchiaia che non fu generosa: finì per non denudarsi più davanti alle sue amanti, alle quali si presentava vestito di un camicione da notte con un’unica apertura al posto giusto, ma l’apertura era contornata da un anellone d’oro a 18 carati, dal quale offriva il suo "attrezzo".





Si vergognava del suo corpo ormai devastato e dei soi denti malandati. Ma la necessità di incontri femminili lo accompagnò fino all’ultimo, sofferente com’era di una malattia scomoda ma maledettamente invidiata: il priapismo. Di statuette falliche è disseminata la sua camera da letto ( la cosiddetta Stanza della Leda ).





Di donne, grazie anche alla sua fama, fu circondato fino all’ultimo, anche se non si sa di quante lunghezze seguì il record assoluto appartenuto a un altro scrittore insaziabile, Georges Simenon, che ne collezionò circa diecimila. Erano, quegli incontri, momenti di furore creativo. Una giovane prostituta, certo tutt’altro che colta, nell’atto di darglisi un giorno sussurrò:" Mettimicimelo ". D’Annunzio, forgiatore di parole, sobbalzò folgorato dalla poeticità primitiva di quel ritmo inconsapevole. Luisa Baccara, la pianista che fu sua discreta compagna fin dagli anni di Venezia e di Fiume, e che al Vittoriale visse sempre in punta di piedi, ebbe la suprema dote della pazienza.





Al Vittoriale, ma relegata in una dépendance, Villa Mirabella, visse anche la moglie di D’Annunzio, la duchessa Maria di Gallese. Ma si tratta di presenze che fanno soltanto da sfondo al suo carattere protagonista. In questa casa piena di oggetti e di simboli, D’Annunzio è solo, celebra se stesso, soltanto se stesso. Capitava che avesse ospiti a pranzo ma che fosse la Baccara a mangiare con loro, nella sala della Cheli ( la sala da pranzo dedicata alla sua tartaruga morta di indigestione).
Lui preferiva consumare del cibo frugale, un tè, dei biscotti, sullo scrittoietto della Zambracca, la stanzetta accanto alla camera letto, un po’ spogliatoio, un po’ luogo di lavoro e meditazione.





Nella parete dietro la scrivania, uno stipo dove teneva le medicine: meglio, la cocaina che gli procurava, pare, anche una cameriera altoatesina poi sparita nel nulla. Si disse che era una spia dei nazisti e che aveva il preciso compito di intontirlo. L’ipotesi non è inverosimile, visto che l’alleanza tra Mussolini e Hitler non gli era mai andata giù.





A dire il vero non gli era mai andato giù nemmeno Mussolini, che considerava volgare e troppo lontano dal proprio stile lo stesso dittatore, probabilmente, lo fece controllare dalle pattuglie armate che, ufficialmente, sovrintendevano alla sicurezza del Vittoriale.





Più nazionalista che fascista, convinto di essere uno de gli autentici padri della Patria, il Vate poteva essere un temibile concorrente per il Duce. Ernest Hemingway, nel 1923, scrisse che Mussolini era un bluff, il più grande bluff d’Europa, e che D’Annnunzio era l’unica vera alternativa possibile:
“Un Rodomonte vecchio e calvo, forse un po’ matto, ma profondamente sincero e divinamente coraggioso”.





Più che coraggioso, D’Annunzio si sentiva un vero eroe. Dal volo su Vienna all’avventura di Fiume, alla beffa di Buccari. Era un grande regista e un eccezionale promotore di se stesso: come dire, un sublime fanfarone.
Il Vittoriale è la Celebrazione anche di quest’epopea bellica e patriottica che fu tanta parte della sua vita: nel parco e nella casa, tra gli ulivi o vicino a calchi greci, ogni tanto spunta una mitragliatrice, un moschetto, un’elica, uno stemma della Grande Guerra. Persino una vera nave incastrata nella roccia e fusa col paesaggio. L’auto celebrazione, l’inno a se stesso “diventano” la casa, il giardino, le corti.





Le cose sono una continua, incessante, ossessionante ricerca di memoria. Chi li ha contati giura che nelle stanze del Vittoriale ci siano diecimila oggetti (novecento dei quali nel bagno), ma l’impressione è che siano infinitamente di più: sono 500 solo i cuscini. Bene, ciascuno è carico di un significato, o gravato di un simbolo, o contiene un motto, o ricorda un avvenimento. Tutto è elevato a racconto, a testimonianza. in un lugubre e solitario viaggio immaginario, lento, faticoso.





Al Vittoriale, che solo all’apparenza può sembrare un variopinto mercato delle pulci, Gabriele D’Annunzio dedicò gran parte della sua ispirazione senile; lo sviluppo e l’arricchimento della casa lo impegnarono talmente che le sue più grandi opere letterarie non nacquero qui. La sua arte divenne un’altra, e la spiega lui stesso:





"Non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre pei me un modo di rivelazione spirituale, come uno dei miei poemi...".



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