~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

Original Blog -> Nepenthe


- EviLfloWeR -

* photos on flickr *
Lunacy 2 - Lunacy 3 - Lunacy 4
Lunacy 5 - Lunacy 6 - Lunacy 7 - Lunacy 8
Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

giovedì 29 novembre 2012

Cathode Ray Sunshine



Oggi non riesco a trovare un titolo…fa niente, dato che non so nemmeno cosa ho voglia di scrivere.
E’ riapparso il sole stamattina, il sole che non riscalda ma illumina quanto basta per illudersi che quel vago tepore sia dovuto a lui.
Non mi dispiace l’inverno nebbioso, piovoso o nevoso, eppure quando riappare il sole dopo giorni di pioggia c’è sempre quel piacere futile di osservare le cose scintillare, di fermarsi a guardarle come se non le si vedesse da chissà quanto tempo.

Oggi sono stata di nuovo a lavorare gratis, ma da sabato si comincia col contratto in regola, e con i sette giorni su sette non stop. E’ un contratto stagionale, quindi me ne sto apposto solo per un po’, ma devo dire che non mi dispiace affatto farmi quest’esperienza.
So già che tra natale e saldi il mio sistema nervoso là dentro sarà messo a dura prova, ma sono assolutamente fiduciosa e soprattutto sono parecchio contenta che qualcuno mi abbia dato una possibilità, scegliendomi tra altre decine di curriculum.
Non credo di essere perfettamente tagliata per questo lavoro, anzi, mi sto facendo in quattro per imparare a muovermi degnamente, però dopo l’iniziale spaesamento mi sembra già di star facendo passi avanti.
E poi le colleghe mi piacciono, sono sclerate il giusto, non sono snob e non mi sembrano nemmeno stronze (cosa non così scontata per un negozietto di lusso del centro). Ma poi diciamocelo, un posto che si chiama “Luna” non poteva non fare per me! Dev’essere il destino.
Bene, restino queste mie parole a monito, perché già prevedo successivi post deliranti in cui mi rimangerò tutto. O forse no? Staremo a vedere, io per ora sono molto fiduciosa!



Sarà il sole che mette ottimismo. Magari sono solo contenta perché finalmente si seccheranno tutte le cose che non so più dove appendermi in casa (o dovrei chiamarlo bunker?) senza coltivare chili di muffa sulle pareti (di recente imbiancate, li mortè!).
Carmine approva con un boccheggio misto a ruttino, mentre tiene la sua enorme coda pinnosa adagiata sulla piantina, con una nonchalance tale che devo assolutamente ricordarmi di fargli una foto.

A proposito di foto, per tre mesi probabilmente non avrò più neanche tempo di vivere, figuriamoci andar da qualche parte a far foto. Confesso che la cosa mi preoccupa, ormai è vitale per me prendere Reffy e far qualcosa, qualsiasi cosa.
Fa niente, mi sfogherò come un’indemoniata il mio primo giorno libero, cioè Natale! Un’indemoniata a Natale, no, non suona bene. Del resto calza a pennello con quella che è “l’atmosfera” natalizia che di solito si respira l’ultima settimana prima del 25 nei negozi e centri commerciali.
Io già ho gli incubi riguardo le musichette natalizie in loop. Meglio non pensarci.



Di cose più importanti in effetti ne avevo da dire! Ieri è stato il compleanno del mio tauro e ce ne siamo andati a mangiare greco. Usciti un po’ con la fame per via delle porzioni ridotte (ormai sto facendo pure io uno stomaco da camionista) ma estremamente soddisfatti per la qualità dei cibi! Avrei fatto volentieri razione doppia di tutto.
Per la rubrica “una casalinga fallita” sarà bene ricordare anche che ieri sono riuscita a cannare l’unica cosa che di solito riuscivo a fare bene in cucina: i dolci. Stendiamo un velo pietoso perché ancora non mi capacito di come ho fatto a fare quel disastro.
Fortuna che ho altre qualità. O almeno dovrei averle. Di sicuro da qualche parte le ho messe.

Bene, mentre la banshee intona il suo ultimo gorgheggio con stecca finale, scendendo le scale dietro la mia schiena con una falcata da rinoceronte, ho deciso che è meglio smetterla di scrivere cazzate. Quasi quasi vado a fare la lucertola in veranda.
Adieu!



“Carry our streams
Lift up our less than elated lives
Transmit our selves
We breathe out
Where no one whispers

Take in all the dark light
turn the nighttime into day



Cathode ray Sunshine
speak out and we receive
Show me and let us in

Alienate
Block out all
amid the breaking of the light
See it again and again
Single sight

Sensory perception
turn the nighttime into day



To our great distrust
Escapism a means of
getting through alive
Take it in and spit it out again
That measly filth

Focal degradation
Bring the chaos into light

Cathode ray Sunshine..
..Burn!”


giovedì 22 novembre 2012

Hai le borse sotto gli occhi



Sole d’autunno che fa quasi un po’ primavera. Sensazioni di colori accesi che si apprestano a scomparire e di un freddo pungente che accende stelle nel cielo. Non mi fa più lo stesso effetto questo periodo, forse sono solo un po’ meno viva di prima, e mi dipingo le unghie di bianco per pensare alla neve.

Mi guardo e non mi vedo mai com’ero. Cambiano le espressioni, le rughe del viso, la leggerezza dei miei passi. Sono nervosa, sono terrorizzata a volte.
Non ho più fiducia in me stessa e mi manca quella sicurezza un po’ imprudente di chi non teme nulla perché in fondo nulla gli importa davvero, perché tanto c’è ancora un sacco di strada davanti, perché se oggi non va bene domani andrà meglio. E con certe premesse, chi se ne frega dei piccoli fallimenti?

Non mi sopporto più quando ripeto per l’ennesima volta che dev’essere colpa della vecchiaia. Quel che è certo è che mi manca l’energia che spaccava tutto, la voglia di mettermi sempre in gioco, il menefreghismo, l’ottimismo riguardo me stessa, la presunzione di potermela sempre cavare.
Inizio a capire cosa vuol dire avere più ricordi che desideri, a comprendere perché ogni cosa a cui ci si lega diventa simile a un macigno rassicurante dal quale non ci si vuole più staccare.

Più sono le cose a cui tengo e più è difficile mantenere la leggerezza, la sconsideratezza della funambola.
Ogni passo falso non è più solo mio, troppe sono le carte disposte in tavola. Ho quasi dimenticato che forma ha la figura dell’appeso.

Nonostante questo riesco a bere un po’ di sole, a farmi forza con le piccole cose che voglio conquistare. Non dormo per notti intere, nervosa per la prova che mi aspetta, poi mi ritrovo a piegare pigiami e mutande per clienti facoltose e mi domando come ho potuto agitarmi tanto.
Cerco di ricordare a me stessa che una volta mi credevo intelligente. Una volta ero piena di ambizioni.

Si sgretola lentamente quella parte di me che non si poneva limiti e prendeva a calci le paure.
Un tempo temevo me stessa molto più del mondo, ora che invece ho fatto pace con la mia ombra non sono più la persona che avrei voluto essere.

Leggo i racconti di Mann uno dopo l’altro bevendo l’inchiostro come fosse acqua di fonte, e respiro dalle pagine consunte quell’indolente incapacità di vivere che non lascia scampo a nessuno dei suoi personaggi.
Giro le pagine una dopo l’altra e ancora spero che ci sia un lieto fine, soltanto uno. Eppure so benissimo che ognuno di quei personaggi sperimenterà null’altro che frustrazione, delusione, incapacità di esistere degnamente.
E dire che avevo evitato di ributtarmi su Pessoa proprio per scongiurare di finire nel gorgo dell’inquietudine.
Ma c’è qualcosa di bello in quelle pedine mosse da un destino più grande. Qualcosa di bello come un fiore sepolto: hai il sentore che ci sia, ma non ne avrai mai la prova.
Forse dovrei cambiare letture, almeno finché il mio umore non migliora.

“Prendi la pappa reale” – mi ripete mia madre, e sorrido per come a lei le cose appaiono tanto semplici. Ho voglia di neve, e di sole e di stelle. Voglia di smetterla di pensare a questo lavoro che forse avrò, a questo scorrere delle giornate verso qualcosa di utile ma così insensato.
Voglia di trovare le isole fortunate di Pessoa, da qualche parte a sud di tutte le cose. Voglia di mare nel cassetto e di mille bolle blu.

“Sai che d’inverno si vive bene come di primavera?”. Di tanto in tanto quel tonfo che sento nel cuore somiglia proprio all’irruenza con cui Battiato attacca “Alexander platz”.
E ti ricordi che faceva caldo ed era una splendida sera d’estate quando per la prima volta ho sentito questa canzone così piena di inverno?

Vorrei prendere Kim e camminare per ore senza pensare a niente, e poi risponderti al telefono e scoprirmi a sorridere ogni volta che risento la tua voce, mille e ancora mille volte al giorno. Sorrido dentro e non ne posso fare a meno. E non ne posso fare a meno perché ti amo.

“Tarvitsen sinua”. Apro la cronologia di una vecchia conversazione e trovo queste due parole in mezzo a tante altre chiacchiere inutili. “Dovresti imparare a leggere tra le righe” - ti ho scritto poco più sotto, dopodiché il caos.
Chissà se hai mai capito che ti volevo solo dire di notare quelle due parole, abbandonate lì tra altri miliardi di pixel senza senso. No, non le hai mai viste, il tuo ego era troppo grande per permetterti di vedere.

E in cuor mio sento per un istante quella consolazione profonda di chi a distanza di tempo può dirsi fortunato dopo una grande sofferenza.



“E’ il momento di sentire la paura per mantenere l’attenzione.
Ed è il momento di dormire per attingere alla conoscenza.
Queste sono le radici che affondano nel nulla.
Questi i venti sibilanti che non portano in alcun luogo.
E’ il momento dell’alba di un giorno che non arriverà mai.
Posso offrirti un rifugio per sfuggire al dolore.
Puoi provare a resistere, ma sarai deriso dalla sconfitta.
Come puoi ritardare ancora l’inevitabile?
La coppa è vuota, non può più essere riempita.
Ma tutta la sete ora può placarsi.
Questo è l’antidoto.”

mercoledì 14 novembre 2012

Nulla si crea e tutto si distrugge




Riemergo lentamente da acque torbide, galleggiando sulla superficie ancora increspata dall’irrequieto fluire sottostante.
Sono acque dense come sabbie mobili quelle in cui a volte mi trovo a dimenarmi con l’unico risultato di creare correnti ancora più violente.

Odio sentirmi fragile e in balia di sensazione che non riesco a controllare. Odio lo stomaco che si contorce e gli attacchi di panico che tolgono il fiato la notte. Odio svegliarmi con gli occhi sbarrati, incapace di digerire l’angoscia.

A volte prendo le cose troppo seriamente, e sono così severa con me stessa che autoalimento la mia disperazione. Non c’è nulla di oggettivamente insuperabile, eppure sono riuscita a sprofondare nella melma delle mie paranoie per giorni e giorni senza trovare rimedio.





Sarà stato perché è successo tutto molto in fretta: prima la laurea e il periodo iper-stressante che ha preceduto la discussione, poi i pochi giorni per dedicarmi a tutto quel che avevo trascurato e subito dopo il viaggio.
Appena tornata mi è crollato tutto addosso, non solo perché ho visto con molta più chiarezza quanto meglio si stia in altri paesi, ma perché solo in quel momento ho capito che il peggio doveva ancora venire.
Mi sono ritrovata improvvisamente catapultata in una realtà insostenibile.

Ho studiato per anni, forse troppi anni. Soprattutto verso la fine della mia carriera universitaria i tempi si sono allungati all’infinito e gli anni hanno continuato a passare.
Ho sempre fatto lavoretti da studentessa: cameriera, promoter e lunghissimi tirocini nei musei. Spesso erano cose che mi schifavano terribilmente, ma le affrontavo con serenità perché ripetevo a me stessa che erano solo soluzioni temporanee.





Adesso però quel pensiero non funziona più, perché adesso ho 28 anni e sono già troppo vecchia per tutto, ma le esperienze che ho nel mio curriculum non bastano neanche per avere il più stupido dei lavori.
Figuriamoci i titoli di studio: valgono praticamente zero, o addirittura in certi posti vengono visti come un motivo per preferire il curriculum di qualche non laureato al mio. Bellissimi quei voti fighi sul curriculum, ma a cosa servono adesso?

Non ho speranze di lavorare nel mio campo di studi. Ok, questo sapevo già, ciò non toglie che sia difficile accettare di aver buttato anni di esistenza per poi rassegnarsi a fare un lavoro qualsiasi che avrei potuto trovare anche subito dopo il diploma.
Il problema è che a questo senso di frustrazione se ne aggiunge uno ben peggiore: anche se son disposta a fare qualsiasi tipo di lavoro, di lavoro non ce n’è.
Ho perso il conto dei curricula mandati e portati in giro, eppure non ho ricevuto nemmeno una chiamata, nemmeno una possibilità di avere un colloquio. Non c’è lavoro, chi ce l’aveva lo ha perso o lo perderà a breve, qualcun altro invece resiste, ma tutti abbiamo paura e la situazione non accenna a migliorare.





Così non solo ho buttato anni e anni per farmi una carriera universitaria, ora mi ritrovo troppo vecchia, senza le esperienze sufficienti per essere assunta, a elemosinare lavori che comunque mi schifano.
Io onestamente non riesco a immaginare di peggio. Se poi mi metto a pensare che se mai dovessero prendermi da qualche parte farei la schiava e non esisterebbero più domeniche, il quadro di disperazione è totale.
Non che per principio mi interessi la domenica, ma l’idea di non avere più neanche un giorno da passare in tranquillità col mio uomo mi spaventa terribilmente. Fa nulla, tanto per ora nulla si muove.

O meglio, sto aspettando una chiamata dall’unico ente che mi ha presa in considerazione per un lavoro temporaneo limitato al periodo di una mostra. A breve saprò se almeno lì i miei voti saranno serviti a qualcosa o se invece non conteranno abbastanza nemmeno per darmi una possibilità nell’ambito artistico (per inciso: possibilità assolutamente misera, dato che capirai che grande talento ci voglia a fare i biglietti, vendere gadgets o distribuire audio guide).
Però con la crisi nera che mi vedo attorno questa unica possibilità mi sembra l’unica cosa che potrebbe davvero darmi un po’ di speranza (e uno stipendio almeno per qualche mese…).





Così aspetto e (spero) mi dispero, mentre la mia mente continua a lavorare incessantemente pensando a tutte le opzioni possibili da considerare per trovare un lavoro.
Non mi do pace e più ci penso più mi angoscio, ma sto lentamente imparando a calmarmi e ad accettare la situazione senza farmi esplodere le budella.
Per ora non stiamo certo morendo di fame, io mi occupo della burocrazia e della contabilità della ditta dell’uomo e già questo mi fa sentire almeno in parte utile.

Ma non posso accettare di continuare a sopravvivere, io voglio vivere, voglio avere delle possibilità che un tempo mi sono state promesse, quelle possibilità che altri giovani prima di me hanno avuto, in tempi migliori.

Non voglio arrivare ai trenta e continuare a vivere alla giornata senza potermi permettere di sognare. Che si tratti di sognare dei figli, un matrimonio, o anche solo una casa più grande, la possibilità di avere dei fondi economici per qualsiasi emergenza o desiderio.
Non sto parlando di vivere nel lusso, ma almeno di non dover esser presi dal panico se per caso saltano fuori spese impreviste, e sospirare tristemente ogni volta che con l’affitto un sacco di soldi se ne vanno senza aver veramente investito in nulla.





Quando torno a casa dai miei mi guardo intorno: case grandi, giardini immensi, gente che sta bene, che ha anche una o due macchine parcheggiate nel cortile. Sono famiglie che hanno avuto modo di formarsi in tempi in cui facendosi il culo era ancora possibile arrivare ad ottenere qualcosa.
Vicino ad alcune di quelle case ne sono state costruite di nuove: i figli con la loro nuova famiglia e prole al seguito, alcuni hanno la mia età, ma hanno trovato un posto fisso almeno una decina d’anni fa e ora per loro è tutto diverso.

Mi pento delle mie scelte? Sì, amaramente, e lo confesso. Non sono solita avere rimpianti né rimorsi, soprattutto per quanto riguarda scelte personali, ma ora che mi guardo intorno e vedo un futuro che mi fa paura, mi chiedo perché non ho fatto altre scelte, perché non ho semplicemente deciso di fermarmi prima…sarebbe bastato anche solo qualche anno fa.

Mi rendo conto di quanto possa sembrare una lagna questo post, anche perché lamentarsi è inutile e in questa barca che affonda ci siamo dentro in molti. Penso di non avere detto nulla più di quanto già si sa, e di avere espresso semplicemente il pensiero di tanti altri giovani come me (che poi così tanto giovani non lo sono più).





Continuo a cercare e a farmi coraggio, aggrappandomi alle poche cose che mi rendono felice, come il fatto di avere un compagno di vita pronto a sostenere qualsiasi mia scelta. Non so come farei se non ci fosse lui, perché è forse l’unica cosa in cui non mi sento una fallita, l’unica certezza di aver costruito qualcosa di importante nella mia vita.
E in un certo senso so che finché saremo insieme non ci saranno periodi neri che non potremo superare, come già è successo in passato, perché anche se tutto dovesse andare a rotoli saremmo pronti a ripartire ovunque. Insieme.





Vorrei solo essere meno esigente e severa con me stessa. Vorrei il dono dell’indulgenza e del menefreghismo. Vorrei tornare a fare la cameriera senza quel terrore incontrollabile che stavolta sia “per sempre”.

Basta lamentele, non saranno certo le parole a salvarmi, non questa volta.
C’è una canzone di Milow che voglio dedicare a tutti noi della generazione tradita, a noi che non possiamo nemmeno più credere nei sogni: “Born in the eighties”.






Sono cresciuto negli anni 90, o almeno ci ho provato,
alla ricerca di modi per sentirmi soddisfatto.

Sono andato a San Diego per trovare fortuna.
Tornato dodici mesi dopo di nuovo ero bloccato.

Mi sentivo come un pesce rosso incastrato in un’ampolla
Ero in attesa di qualcosa che potessi controllare.


Dopo il 2000 non ero più un ragazzino
Il mondo non è finito, ma qualcos’altro sì.
Quando mio padre se n’è andato avevo appena 19 anni.
Non doveva esser felice come io pensavo che fosse.

Se questa è la mia sceneggiatura non mi piace il mio ruolo.
Ma queste sono le cose che non si possono controllare.


Anche se mi sento più vecchio, ho appena 23 anni.
Se sei in cerca di risposte, non venire da me.
Invece di un futuro ho una chitarra,
ma sognare a oltranza non mi porterà lontano.


Eppure mi sento pronto per il rock n’roll.
Ci potrebbe essere qualcosa che posso controllare.

Con il tempo arriverò ai 30 e ne avrò abbastanza
di essere un ventenne perennemente innamorato.

I miei amici saranno tutti sposati
oppure se ne saranno andati.
E io sarò ancora lì a chiedermi cosa sta succedendo.

Se è ciò che serve venderei la mia anima,
pur che ci fosse qualcosa che posso controllare.

Un giorno mi sveglierò e avrò 38 anni,
e mi ritroverò a fare le cose che ero solito odiare.

Il trucco per dimenticare il quadro più grande
è guardare tutto a distanza ravvicinata
più spesso che si può.

La nostra rivoluzione è coperta di muffa.
C’è solo così tanto che non è possibile controllare.


Questo non è un inno, perché gli inni sono orgogliosi
e l’orgoglio non è qualcosa che ha a che fare con questo.
Non dovrebbe importarmi, non dovrebbe importarmi,
ma mi importa, e qualche volta è troppo difficile da sopportare.

Cammino ancora sulla stessa strada
con le mie scarpe piene di buchi
in attesa di qualcosa che non possiamo controllare.


Se mai arriverò ai 50 o ai 65,
è troppo presto per dire se sarò ancora vivo.
Siamo nati negli anni 80 e adesso siamo qui.
Il sogno della mia Generazione scomparirà.


Sono al cimitero e passo tra le file.
Una resa silenziosa non arriverà mai così vicino.

Questa è la mia storia,
l’hai ingoiata per intero.
Ed è una storia su di noi,
sul nostro bisogno di avere il controllo.


(Milow - Born in the Eighties)

martedì 13 novembre 2012

North from here




Tornata dalla Svezia, solo adesso riesco a trovare un po’ di tempo per scrivere, adesso che le sensazioni più forti che ho provato lassù già stanno svanendo, spazzate via da tutto quel che ho ritrovato qui ad aspettarmi.





Il viaggio è stato meraviglioso! Essendo partiti la sera e poi tornati la mattina i giorni effettivi non sono stati sei ma quattro, in ogni caso sfruttati a pieno! Beh…a parte per il sabato sera, quando sono collassata a letto alle nove e non c’è stato modo di ordinare al mio corpo di muoversi.





Mi succede sempre più spesso ultimamente…ho questi attacchi narcolettici improvvisi che non riesco in nessun modo ad evitare. Capitano soprattutto quando sono a casa, ma anche se sono in giro, magari in un pub tra la gente. Ammetto di vergognarmene, anche perché non ho ancora trovato il modo di contrastarli. E’ come svenire preda di un sonno comatoso, e non solo in giornate in cui effettivamente posso esser stanca per i più disparati motivi. Boh…sarà la vecchiaia? Sarà l’anemia? Sarà un nuovo super potere? Di certo devo trovare un modo per evitare che succeda perché sta diventando sempre più imbarazzante.





Ma io volevo parlare di Stoccolma. Dunque…partiamo dal presupposto che nessuna foto le renderà mai giustizia quanto merita, e dal fatto che io sono sicuramente di parte, ma nel momento in cui dico che è un posto meraviglioso si tratta di un fatto oggettivo!





La prima cosa che mi ha colpito è stata l’aria. Scesa dall’aereo ho inspirato a fondo e mi è sembrato di respirare qualcosa di così cristallino come mai prima in vita mia. Tant’è che per forza di cose poi il primo pensiero tornati a casa è stato “diavolo, l’Italia puzza!”.





L’aeroporto era disperso nei boschi e si perdeva nelle ampie distese pianeggianti della Svezia, per raggiungere la capitale abbiamo preso un autobus e viaggiato per circa un’altra ora e mezza, era sera e c’era la luna piena in cielo, che faceva capolino oltre le sagome scure degli alberi. Grazie alla luna così luminosa siamo riusciti a vedere un po’ di Svezia dal finestrino, nonostante l’ora tarda e l’assenza più totale di illuminazione artificiale.





Arrivati a Stoccolma ad accoglierci c’era una stazione in stile razionalista moderno davvero mozzafiato. Ogni volume architettonico prendeva leggerezza e trasparenza grazie all’uso sapiente dei materiali e della luce. La prima impressione per me è stata quella di esser sperduta in un’enorme città. Tutte le indicazioni erano in svedese e per quanto io avessi cercato di studiare almeno le basi della lingua, l’ostacolo della pronuncia si è fatto sentire davvero tanto. Rimpiango tantissimo di non aver avuto modo di chiacchierare con qualche svedese per farmi insegnare un po’ di cose. La mia migliore amica è stata la voce della metro che mi insegnava almeno i nomi delle fermate! XD





Comunque…siamo arrivati tardi la sera, come dicevo. Lo stomaco brontolava da paura, così abbiamo deciso di provare a prendere uno di quei mini hot dog che avevamo visto già in aeroporto. Ovviamente non hanno fatto altro che aumentare la fame a dismisura, ma è stato in ogni caso il nostro primo incontro con quella che per gli svedesi pare essere una vera ossessione. Ho perso il conto di quanti chioschi di hot dog ho visto…di tutti i tipi e di diverse dimensioni. Buoni per carità, ma c’è di meglio! (certo, per dei turisti squattrinati come noi sono stati una benedizione, dati i costi contenuti).





Tra l’altro potrebbero proporre un’alternativa valida a chi vuole trasferirsi e non sa con che lavoro iniziare! Io lo farei più che volentieri, magari unendo al solito hot dog qualche variante di panino più esotico…come l’onto per esempio! Robe che ci si fa una fortuna. Sì, sogna e spera.





Non ricordo che ora fosse ma eravamo in super ritardo rispetto all’ora pattuita con l’hotel, quindi siamo corsi in direzione subway (o T-bana, che si legge tiiie bana!) e abbiamo pure scroccato i biglietti gratis dal tizio in biglietteria. La nostra destinazione era Mariiijja Torget, la fermata più vicina all’hotel. Ora, io sono una ranger solo nei miei alter ego, ma nella realtà solitamente faccio abbastanza pena, invece quella sera me la sono cavata egregiamente. Ci hanno pensato numerose vie i giorni seguenti a farmi tornare una ranger fallita!





In ogni caso siamo arrivati all’hotel che erano sicuramente già passate le undici di sera e in ogni dove la gente stava già festeggiando Halloween, anche nel nostro hotel, cioè..nel nostro battello (da leggersi con inflessione chioggiotta per avere un risultato ottimale)!
In pratica un’ala dell’imbarcazione era stata allestita per dare una festicciola strafiga, mentre dall’altra parte alla reception la porta era chiusa e non c’era nessuno. Inutile anche chiamare, perché nessuno rispondeva. Ammetto di essermela fatta sotto per un po’, fino a quando non siamo riusciti ad attirare l’attenzione di un turista belga tanto gentile facendo gesti plateali da fuori l’oblò. Questo è andato a chiamare qualcuno che è venuto ad aprirci e a riceverci.





Beh, la camera era quello che era…l’hotel (sarebbe meglio dire ostello) era in pratica una nave costruita negli anni venti del novecento, che si è fatta per parecchi anni la spola tra la Svezia e l’America. Gli arredi e le stanze erano quelli originari, solo in parte rimodernati.
In pratica ci siamo trovati in una stanza davvero claustrofobica, in pendenza, con l’oblò che non si poteva aprire e la porta del bagno che sbatteva pericolosamente contro il gabinetto mal fissato a terra. Da film? A noi è venuto un sacco da ridere.





Alla fine l’abbiamo presa come un’avventura, e devo dire che nonostante i problemi di circolazione d’aria in una stanza completamente chiusa, prima di andare via quasi già mi mancava. Nonostante tutto non era malaccio, bastava non avere grosse aspettative.
E poi era divertente fantasticare sui tonfi nell’acqua che si sentivano di tanto in tanto la mattina. L’ipotesi più quotata è quella dei corridori annegati per distrazione, perché facendo un calcolo percentuale di probabilità che qualcuno scivoli giù dalla banchina è molto probabile che si tratti di fanatici di jogging, dato che ne abbiamo visti davvero tantissimi, a qualsiasi ora del giorno e della notte. (Sì, lo so che erano solo le ondine del lago che sbattevano sulla chiglia del battello, ma che ce ne facciamo poi della fantasia?)





Comunque era ormai mezzanotte e la festa era già nel pieno, lì per lì ci è parsa una figata, ma subito dopo ci siamo accorti che era tutto stranamente fin troppo tranquillo: la gente in maschera seduta ai tavolini a chiacchierare amabilmente, qualcuno che ballava davanti al dj, niente approcci esagerati, niente schiamazzi, solo qualche ubriaco che ogni tanto scivolava dalla sedia. E’ difficile render l’idea, ma rispetto a qualsiasi festa vista in Italia, l’atmosfera lì era davvero surreale.






In ogni caso non abbiamo resistito a lungo: la fame iniziava a farsi sentire sempre più insistentemente, e il mini hot dog per cena era già un lontano ricordo. Così ci siamo avventurati nella notte gelida esplorando il lato ovest di Söder, e abbiamo trovato…il deserto.
Dopo una certa ora della sera lì per strada non c’è nemmeno un cane, fa così freddo che tutti si rifugiano in casa o nei locali, e anche il traffico è ridotto a zero. C’è solo il silenzio interrotto dal rumore dei semafori che si fa davvero inquietante nelle notti nebbiose (Silent hill mi ha segnato l’adolescenza purtroppo).





Ma ce l’avranno fatta i nostri eroi a cibarsi nonostante la desolazione dell’ora tarda e del quartiere fantasma? Ebbene sì, ovviamente trovando uno di quei già menzionati chioschetti di hot dog. Questo “fortunatamente” faceva anche fish&chips, così almeno abbiam potuto variare la “dieta”.
Fondamentalmente questa è stata la prima avventura notturna a Stoccolma, unita all’esperienza della prima birra pagata fior di corone (con le tassazioni assurde che hanno sugli alcolici lì i prezzi delle birre son davvero da capogiro, eppure bevono sempre tutti!).





Già dal giorno dopo, con la luce del giorno e un bel po’ di gente in giro, abbiamo iniziato ad ambientarci per bene. La colazione all’hotel era un’esperienza che ti metteva di buon umore già dal mattino: niente di che, la tipica colazione internazionale a buffet, ma il salone in cui ci si poteva sedere era davvero stupendo nel suo stile retrò, e si affacciava sul lago, garantendo una vista impagabile verso il municipio e il resto della città sulla riva opposta.





In quattro giorni siamo riusciti a girare abbastanza, anche se ho dovuto selezionare con attenzione cosa vedere e cosa no, perché vedere tutto sarebbe stato impossibile. Nonostante la mia pignoleria organizzativa, però, non sono riuscita a coniugare le esigenze turistiche culturali a quelle shoppingose, tant’è vero che siccome i negozi chiudevano alle quattro del pomeriggio ho fallito miseramente nel mio intento di portarmi a casa un libro illustrato su una volpe! Per fortuna abbiamo fatto in tempo almeno a comprare qualche souvenir per gli amici.





Bene, con la telecronaca mi sono già persa, e probabilmente non sarei in grado di ricordare esattamente quel che abbiamo fatto senza fare una confusione assurda, quindi meglio partire direttamente random.
Vediamo…la città! Beh, è enorme, per girarla a piedi ci vuole parecchio tempo a disposizione ma è un’esperienza impagabile. Nonostante ci fossero mezzi pubblici in ogni dove, e fuori il freddo fosse bello pungente, ho preferito di gran lunga farmi delle passeggiate infinite tra ponti, vicoli, piazze e stradone.





Il lago Malar è una cornice meravigliosa che cinge diverse zone della città e regala una vista sempre mozzafiato. Nonostante sia una grande città, con costruzioni anche moderne e palazzoni, il senso di libertà, di spazio, di perfetta armonia con la natura, è costante.
E’ anche una città affollata, eppure non c’è caos, non si percepisce stress, non c’è intasamento, non c’è smog, tutto sembra funzionare a perfezione. Poi la gente è tranquillissima, sembrano tutti così sereni! Persino nei locali la sera li osservavamo: c’erano personaggi strambissimi, metallari, ubriaconi, alternativi di vario tipo oppure tipi comunissimi, ma tutti erano accomunati dall’essere fin troppo educati, sereni, senza eccessi. E….biondissimi, fighissim…*coff*. Beh dai, non tutti, ma c’è da rifarsi gli occhi!

 
 


Dal punto di vista di cose da vedere, c’era da riempire le giornate! L’isoletta dei divertimenti era in assoluto il top: col museo all’aperto Skansen, e il museo della nave Vasa.
In città invece c’era il quartiere più antico che era un vero gioiellino, pieno di vicoletti caratteristici e di negozietti favolosi. La city è forse quella che mi è piaciuta meno, ma nel suo essere moderna è davvero all’avanguardia. Nella piazza principale c’era questo immenso centro culturale in cui abbiamo passato un pomeriggio intero, tra mostre, biblioteche, postazioni libere per l’ascolto di musica, laboratori creativi di ogni tipo! In pratica immaginatevi un palazzo immenso su almeno cinque piani, ad accesso completamente gratuito e assolutamente all’avanguardia nel mettere la migliore formazione culturale alla portata di tutti. Se vivessi a Stoccolma sarei sempre lì!





Per il resto cos’altro c’era di degno di nota? Ah già! Il museo d’arte contemporanea: la collezione permanente non era estremamente numerosa, ma riusciva ad essere esemplificativa di ogni periodo storico-artistico anche se con pochi esemplari veramente degni di nota. Le mostre temporanee invece erano almeno quattro, e una in particolare valeva assolutamente la pena: Duchamp vs Picasso. Solo l’idea in sé era già geniale!





Un altro posto che mi è rimasto nel cuore è il cimitero di Skogskyrkogården. Poco fuori Stoccolma c’era questo piccolo gioiello naturalistico protetto dall’UNESCO. Un parco immenso in cui si trovavano milioni di piccole lapidi, disseminate tra gli alberi e sulle collinette. Niente sfarzo, niente decorativismo, niente retorica: solo la pace immutabile della natura, il silenzio degli alberi, l’azzurro rassicurante del cielo.
Le lapidi erano semplici, solo qualche iscrizione, niente foto o statue o altro. E le poche cappelle presenti avevano un’architettura ridotta ad una semplicità estrema. Quel che ho notato degli svedesi in genere è che non soffrono l’horror vacui e non sentono minimamente il bisogno di decorare o riempire quando si tratta di architettura o più in generale d’arte. Anche nel Municipio ho notato la stessa cosa: sono esagerati solo quando cercano di imitare lo stile di altri paesi, ma per il resto vige la semplicità più assoluta.





Tornando al cimitero, l’ho trovato un posto unico: tutte quelle piccole tracce lasciate dall’uomo immerse nell’eternità della natura sembravano avere in qualche modo un senso più profondo, di eterno ciclo vitale forse, o anche solo semplicemente di profonda unione tra uomo e natura.
L’uomo passa, eppure rimane. Non nell’ambizione di monumentali epitaffi, non nell’arroganza di maestose tombe, ma semplicemente nell’accettazione di essere parte di qualcosa di più grande a cui tornare, alla fine.
Nessun luogo sacro mi aveva mai dato prima una sensazione di pace così totale, di serenità anche nell’accettare il pensiero di qualcosa di così difficile da accettare qual è la morte.





Ma quanto sto scrivendo? Forse dovrei iniziare a tagliare, ma è bene ricordare almeno un paio di ultime cose! Innanzi tutto la carne di renna: siamo riusciti ad assaggiarla in uno dei grandi mercati coperti cittadini, convincendo il tizio che aveva il banco della carne fresca a cucinarcela.
E poi i baretti di Stoccolma: ce n’è davvero tantissimi di rockeggianti, in cui stare al calduccio ascoltando buona musica. Il metal però è davvero poco presente, anche nei locali notturni per metallari abbiam trovato solo dj set e niente concerti. Un po’ ci siamo rimasti male, ma ci rifaremo!





In definitiva? Mi sono innamorata di Stoccolma, è un piccolo gioiello del nord tutto da scoprire. Forse non ci vivrei mai perché se posso scegliere preferisco evitare le metropoli, ma c’è da dire che già nell’immediata periferia ho visto dei quartieri così belli che un pensierino ce lo sto già facendo.





Ho visto il nord, e non ero mai stata così lontana prima d’ora.
Ho vissuto il nord, e non mi ero mai sentita più fuori posto a casa mia.
Ho amato il nord, e non ho fatto altro che alimentare un sogno antico.



Anche se ci siamo ridotti al verde e abbiamo fatto una follia, non posso che adorare il mio uomo che mi ha fatto un regalo tanto splendido. Si poteva aspettare, si poteva andare più avanti, in tempi migliori. Ma chi se ne frega? Si vive una volta sola, ed era questo il momento giusto.
Quante cose mi sono sempre promessa di fare una volta finita la scuola? E poi una volta presa la laurea? E poi la seconda laurea? Alla fine tutti i sogni rimanevano nel cassetto, ma questa volta no.
E sono sicura che non è stata solo una follia, ma anche un piccolo seme gettato per poter costruire forse un giorno qualcosa di più grande…o di ancora più folle.



“Siediti un momento, perché hai fretta?
La bellezza è intorno a noi.
Il cielo rosso del mattino,
i diversi colori dei paesaggi.
la freschezza della brezza.
Quindi, siediti un momento e riposa
con gli spiriti della terra.”