~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

Original Blog -> Nepenthe


- EviLfloWeR -

* photos on flickr *
Lunacy 2 - Lunacy 3 - Lunacy 4
Lunacy 5 - Lunacy 6 - Lunacy 7 - Lunacy 8
Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

martedì 26 marzo 2013

One-eyed Lunacy



Amo la fotografia perché è quanto di più simile alla dimensione della memoria: una presenza-assenza di qualcosa che si guarda con occhi squisitamente ingannevoli.





Dopo di che cominciò a pensare la fotografia in modo analitico, costruendo una differenza tra l’interesse umano e generale che una fotografia suscita, lo studium, e il genere di dettaglio (che essa può contenere o no) che perfora questa generalità, la spezza e la lacera, e così colpisce e dilania lo spettatore, il punctum.





Lo scandalo della fotografia è la certezza dell’<<è stato>> che si attacca all’immagine, certezza che il <<punctum>> chiarisce come l’immagine della mortalità stessa: <<Dandomi il passato assoluto della posa, la fotografia mi dice la morte al futuro. Io fremo per una catastrofe che è già accaduta. Che il soggetto ritratto sia o non sia già morto, ogni fotografia è appunto una catastrofe.>>


(Rosalind Krauss su R. Barthes)





"Credo davvero che ci siano cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate."

(Diane Arbus)

So on





Primavera ufficialmente arrivata, con tanto di dispiegamento di sole intenso e brezzolina piacevole. Presente quel tanto che basta per non sfigurare con la data sul calendario ma rovinare prontamente tutti i weekend. Fa niente, ci sarà tempo anche di godersi le belle giornate e qualche gitarella domenicale, prima o poi.





Aggiornamenti? Sul fronte lavorativo una tragedia: centinaia di curriculum mandati e risposte zero. Ormai ci sto facendo il callo, solo mi viene una leggera bile nera quando qualcuno che vive all’estero mi racconta di come altrove le cose funzionano, le opportunità ci sono, soprattutto se hai voglia e tenacia di farti il culo. Qua neanche ti vogliono vedere per un colloquio, e persino per i tirocini totalmente gratis sta cominciando ad esserci troppa concorrenza. Sono sempre più avvilita.





Ma io odio perder tempo, quindi mi sono già iscritta a due corsi di formazione gratuiti per disoccupati e nel mentre cerco di lasciarmi uno spiraglio aperto verso quella che è la mia passione ormai più martellante: la fotografia.
Non ho più l’età per studiare o per perdere altro tempo ad inseguire i sogni, ma se nemmeno a fare i lavori più del cazzo mi vogliono, cosa devo fare? Ottimizzo i tempi e mi rimetto a studiare.





Reffy ormai è la mia ossessione, sto cercando di leggere di tutto e di più su fotografia e compagnia bella, anche se con la consapevolezza che sperare in un futuro in quella direzione è veramente da stolti.
Però qualcuno ha scritto che l’unico modo per salvarsi è andare dalla parte dei desideri, e chi me li toglie dalla testa i desideri?







Così mi sono proposta come assistente ad un fotografo che ammiro davvero tanto, e alla mia prima uscita per uno shooting di copertina di una rivista ero emozionata come al primo giorno di università.
E’ tutto nuovo per me, e tutto mi incuriosisce e mi attira moltissimo. Nonostante le disavventure e i clienti rognosissimi, ero tutta presa dall’imparare a montare l’attrezzatura, vedere come lavora un fotografo professionista, ingegnarsi per trovare il set e sistemare le luci, creare tutto quello che sta dietro un semplice click, e crearlo esattamente come lo si vuole.



Entusiasmo a mille. Fomentato poi dalla giornata alla sede Manfrotto per un corso intensivo di fotografia. Un edificio stupendo, ambiente di lavoro positivo come pochi: il mio primo pensiero è stato “mi ricorda Stoccolma”. Detto questo, detto tutto.





Mi sono sentita fortunata per esser lì a fare qualcosa che tanto avevo voluto, e allo stesso tempo non riuscivo a liberarmi dell’invidia per tutte quelle persone (tra l’altro simpaticissime) che avevano un posto di lavoro lì dentro.





E giù a chiedermi perché, e come cavolo avranno fatto, e se io riuscirò mai ad infilarmi in qualche azienda così figa o passerò il resto dei miei giorni ad elemosinare lavori da cameriera o commessa quando gira bene. Che porca puttana la testa ce l’ho e se continua così posso anche buttarla nel cesso che tanto a poco mi serve.
Ed ecco che come previsto l’entusiasmo poi diventa frustrazione per tutto quello che non si può avere, e questo sta diventando un post da lamentela come non volevo che fosse.





In realtà volevo solo scrivere per ricordarmi di un momento in cui mi sono sentita di nuovo parte di qualcosa. A fine giornata ho imparato un sacco di cose, ho conosciuto un ambiente positivo e propositivo, ho avuto la prova che le cose da qualche parte e per qualcuno funzionano.





E mi sono dedicata anima e cuore ad una passione che sento veramente mia, avendone dei riscontri nell’immediato, delle soddisfazioni pratiche, non evanescenti come tutto il fumo che ha prodotto la tanto rinomata formazione tutta teorica dell’università.
Mi chiedo cosa me ne faccio adesso di tutti quegli anni a studiar libri senza mai un riscontro pragmatico. Ma l’università ti da occasione di mettere in pratica quello che hai studiato!! Certo: tirocinio ai musei civici a guardare sale vuote per 5-10 ore al giorno. Questo è quanto.





Non sono mai stata una persona che cede a rimpianti o rimorsi, perché di solito voglio fermamente ogni cosa che faccio, ma in ambito scolastico/lavorativo sto avendo grandissimi ripensamenti. Avrei voluto far scelte diverse, essere più consapevole, ascoltare di più il richiamo delle mie inclinazioni.
Così ora ho una triennale e una specialistica assolutamente inutili, troppi anni sulla carta di identità, e tanta voglia di poterci ancora mettere una pezza, in qualche modo.
Questa è l’Italia di tanti giovani, anno 2013.




Un tempo ho avuto una montagna di me stesso
Con muschio, mura, magia e un’ampia vista



Una foresta di me stesso che mi ascoltava,mi mostrava i suoi sentieri e le piste nascoste
di un verde intenso e albe dormienti



Spine che non hanno mai tagliato il mio viso e i miei piedi
Una pineta di me stesso
Che mi offriva un posto nel tramonto
Dipingendo ritratti ventosi, arabeschi
Di fortuna e per sempre



Troppo ampi per stare nella tasca di un bambino.
Ora, gli arabeschi della dimenticanza sono lasciati
A bruciare i buchi nel mio arazzo bianco e nel mio sfondo



Un tempo ho avuto un mondo di me stesso
È ancora qui, solo io sono andato via.


( PoS – Fall )

martedì 19 marzo 2013

Ho provato a salvare me stesso...

…ma continua a scivolarmi via.


E’ una strana sensazione. Di istanti bloccati, di un tempo che non maturerà mai.
Una me stessa intrappolata nella spirale, così diversa da me.

Talvolta, quando torno a casa, quando guido al buio lungo le strade che erano mie, è come se venissi scaraventata in un universo parallelo che non è altro che la vita che avevo prima. Una sensazione da Lost Higways: di circolo senza uscita, di dimensioni sovrapposte.

Dev’essere perché quando mi sono rotta a pezzi e ho buttato nel cesso la mia vita, la prima cosa che ho voluto fare è stato fuggire, ricominciare, da un’altra parte, con persone nuove.
E ha funzionato, eccome se ha funzionato. Grazie a dio, che ha funzionato.

Ma lì dove c’era la mia vita è rimasto tutto uguale. Non ho più spostato quasi niente, è tutto fermo a due anni fa. E non riesco nemmeno più a metterci le mani, perché è come se non fosse più roba mia.
Ma non sono gli oggetti che mi disturbano, e nemmeno i luoghi che prima facevano parte di ogni mia giornata, le abitudini, i suoni, gli odori.
E’ quella sensazione. Il sentirmi scaraventata in un altro periodo che puzza di defunto eppure fa sentire ancora forte la sua presenza.
Il tempo si annulla e io sono ancora lì, sono ancora a pezzi, sono ancora io.



Aver bisogno di te
Sognarti
Trovarti
Provarti
Fotterti
Usarti
Sfregiarti
Romperti

Perdermi
Odiarmi
Colpirmi
Cancellarmi
Uccidermi


NIN - Eraser

mercoledì 13 marzo 2013

La Volpe funambola e il Principe Minotauro


(pic by Julie Milne)

“Nel libro la volpe insegna al piccolo principe il significato che bisogna dare alla vita mediante i riti, talvolta trascurati o dimenticati, dell’amicizia e dell’amore, che consentono di "addomesticare", cioè di creare dei legami e quindi di conoscere realmente le cose, piano piano, giorno dopo giorno.



Il Piccolo principe cerca gli uomini, cioè la legge per vivere nel mondo degli uomini, e la volpe, saggia e non astuta come nelle favole tradizionali, spiega il modo attraverso il quale è possibile la conoscenza, tramite "l’addomesticare"; certo, la conoscenza implicherà poi anche la sofferenza, ad esempio quella del distacco, ma varrà la pena soffrire se poi in cambio si guadagnerà "il colore del grano", vale a dire una nuova visione delle cose.”




In questo regno diviso tra tenebre e stelle, ammantato di nebbia e irradiato di sole, quanti uomini sanno contare, regnare, bere, vivere, amare?

Solo coloro che hanno imparato a trovare le tracce di una volpe sanno cosa significhi amare senza possedere, desiderare senza sacrificare.

E unicamente una volpe addomesticata può sorridere dei colori del grano, celando in quel sorriso il segreto di una felicità che non contempla più soltanto sé stessa.



La saggezza arriva alla fine di una strada tortuosa, nascendo da campi senza grano, e passando attraverso le vite di uomini piccoli quanto i loro minuscoli pianeti.

La saggezza arriva infine per la volpe, scorrendo lungo il dorso ammantato di soffice pelo rossiccio, mischiandosi al peso del dolore, dell’amore, di tutto il sentire che su quella fragile schiena si è accumulato.



La saggezza contempla l’amore, ma l’amore non contempla nient’altro che sé stesso e il suo esistere, in tutti i colori e le forme del grano, del cielo, delle stelle.
In tutti i nomi che, in suoni ogni volta diversi, richiamano un solo nome.
In ogni attesa, in ogni anelito, in tutta l’immensità del vento tra le spighe che nessuno possiede, ma che la volpe adesso può avere, ogni volta che lo desidera.

L’essenziale è invisibile agli occhi, ma lì dove si ripone il cuore c’è un giardino stellato che nessuno potrà mai calpestare.



Un giorno hai giurato che saresti stato il mio principe, un principe migliore di tutti quelli che avevo incontrato. E hai promesso che mi avresti insegnato la differenza tra desiderio e bisogno, affinché la sofferenza potesse diventare qualcosa di più dolce, acquistando consapevolezza.

Ricordo ancora a perfezione quella promessa, sussurrata attraverso il fumo davanti al tuo viso e le lacrime davanti al mio.
Ero terrorizzata dalla mia voragine, così ho deciso di entrare nel tuo labirinto.



Adesso, quando ti guardo, ti vedo come un gigante, il guardiano di tutte le chiavi che nella mia vita ho fabbricato.
Diverso da tutto ciò che concepisco eppure affine, così accondiscendente e proteso verso di me.

Sei un dio che pervade ogni cosa che tocca, e come un angelo rinnegato io sono quello in grado di distruggerla.
Hai addomesticato il lupo che è dentro di me, hai ammaliato la volpe e le hai insegnato che nulla è scontato, nemmeno i lieto fine delle storie per bambini.



Trattengo il respiro e ti osservo in silenzio mentre dormi: sei solo un corpo abbandonato nella penombra, un eroe che, deposti i vessilli, riposa al sicuro.

Potrei restare ore a guardarti dormire, avvolto da quel sortilegio senza memoria che è il sonno. E penso a quanto sarebbe vana la mia vita se tu non fossi lì, se io rimanessi a fissare il cuscino pensando a tutto il tempo perso, scoprendo che la mia vita è senza significato.



Ma tu sei lì, a riempire i miei giorni, i miei occhi, il mio cuore. Nel ciclone informe che tutto travolge quando scende la notte, tu sei il centro immobile, l’unico punto certo che posso continuare a fissare senza smarrirmi, rincorrendoti attraverso i cunicoli del nostro labirinto che non sapremo mai dove portano.




“Neve era diventata funambola per amore dell’equilibrio. Lei, la cui vita si svolgeva come un filo tortuoso, disseminato di viluppi che intrecciavano e scioglievano tra loro sinuosità della sorte e insipidezza dell’esistenza, eccelleva nell’arte sottile e insidiosa del fare evoluzioni su di una fune tesa. Non si sentiva mai così a suo agio come quando camminava sul filo a mille piedi dal suolo. Dritto davanti a sé. Senza mai deviare d’un solo millimetro dalla rotta. Era il suo destino. Avanzare passo dopo passo. Da un capo all’altro della vita.”


(pic by Carla Manfredi)

“…in realtà per lei la cosa più difficile non era mantenersi in equilibrio, e nemmeno dominare la paura, e tantomeno camminare su quella fune infinita, su quel filo di musica intervallata da vertigini abbacinanti. La cosa più difficile, quando avanzava nella luce del mondo, era di non tramutarsi in fiocco di neve.”




Chi è perso nel labirinto impara a sue spese che la libertà non consiste tanto nel trovare l’uscita, quanto nel percorrere la strada che si snoda tra infiniti svincoli pregni di valore.
La voragine ha cercato di annullarmi, il labirinto mi ha ri-insegnato il senso delle cose, ma io sono funambola, e questa è per me l’unica via possibile.

Una corda tesa dritta avanti, sottile e fragile, che si erge maestosa sopra l’ignoto.
Non vedo mai dove la fune termina, ma avanzo imperterrita, sospesa al di sopra di quella voragine, decisa a temerla, sfidarla, amarla.
Quante energie perse a scappare, a serrare gli occhi per non vedere, a tentare con codardia di aggirare un ostacolo che non si sposterà mai? La fune annulla ogni cosa e traccia vie nuove, anche se il prezzo da pagare è una ricerca d’equilibrio che non può arrestarsi mai.
Funambola per scelta, vedo ancora la mia voragine, ma la fisso dritta negli occhi e la calpesto, lasciandole il desiderio di potermi avere un giorno, quando l’equilibrio verrà meno, o qualcos’altro attenterà a quel filo labile che si erge come mia salvezza.



“Era il tempo in cui amavo guardare le stelle avvolta dal chiarore lunare, il tempo in cui le notti erano lunghe e gelide, ma ammantate di preziosi e fragili biancori.
A quell’epoca mi capitò qualcosa di incredibile, di una bellezza tale da farmi dimenticare tutto il resto.
Per inseguire la luce che avevo intravisto sono salita su, sempre più in alto, ed ho iniziato a muovere i miei passi rapidi su una fune sospesa nel cielo. Lontano da tutto, ero inebriata da quella sensazione di leggerezza, e mi sentivo fragile e precaria, ma sempre più vicina alle stelle.
Volteggiare su quella corda tesa, in bilico sul crinale della vita, è stato il sogno più bello che mai si possa immaginare...

Di tanto in tanto mi capita ancora di volgere lo sguardo alle stelle lontane, consapevole che una parte di me è rimasta alla deriva tra le nuvole, ed un brivido mi pietrifica al ricordo di quando volteggiavo nel cielo inseguendo un sogno.
Figlia della terra, rinnegata del cielo.”