~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

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- EviLfloWeR -

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Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

Biancomanto



Nel lontano nord, tra i fitti boschi dagli alberi maestosi e le radure spoglie, sorge una città in cui il tempo scorre più lento, il vento è più dolce e la luna più luminosa. Le stagioni a Semprinverno non sono come le conosciamo, perché il fiume che la attraversa, e che porta lo stesso nome della città, ha qualcosa di magico. La stagione fredda risulta più mite in questo piccolo angolo di mondo, e l’estate è piacevolmente fresca. Talvolta capita anche che la neve scenda a primavera, spolverando col suo bianco silenzio la vivacità colorata dei fiori, pur senza sciuparli.

Gli abitanti di questo gioiello del nord sono persone semplici. Rincasando, la sera, sanno concedersi il tempo di rimirare la superficie calma del fiume, che quando la luna è alta nel cielo si anima con la danza di fuggevoli bagliori argentei.
Talvolta, accompagnati dalla dolce melodia dello scorrere del fiume Semprinverno, volgono gli occhi al cielo per ringraziare colei che decide se sia luce o se li colgano invece le tenebre. Lei che veglia dall’alto, adagiata su un letto di nuvole come falce ardente nel buio, regina di un corteo di stelle.

A casa di Lyra, alla periferia del bosco, oggi c’è gran trambusto. Il fuoco arde nel caminetto, il profumo della carne arrostita inizia a spargersi nell’aria, e le candele accese sul tavolo fanno brillare le finestre nel buio che circonda la modesta abitazione.
La ragazzina continua a correre fuori dalla porta per far suonare i campanellini appesi al cancelletto, mentre attende impaziente di vedere il padre far ritorno dal viale che si perde nell’oscurità della sera.
La sorella più grande è in cucina e sta preparando i biscotti, la si sente canticchiare allegramente mentre lavora all’impasto, e di tanto in tanto le sfugge un poderoso starnuto che suscita le sonore risate di Lyra.

La gente a Semprinverno ama i rituali, e tutti sanno che il solstizio d’inverno va celebrato nel giusto modo affinché la primavera non tardi ad arrivare.
Quel giorno le ragazze sono quindi andate nel bosco a raccogliere foglie di sempreverdi e rametti di vischio per addobbare la loro casa, facendo a gara a chi ne trovava di più, e prima di rincasare hanno fatto la follia di tuffarsi nelle acque del loro adorato fiume. Perché l’inverno a loro non fa paura, dato che sono giovani e spensierate, ed immergersi nelle acque gelide significa provare di essere sfrontate abbastanza da sfidare il freddo per donare il proprio calore alla natura che presto rifiorirà.
Così adesso il naso di Lyra gocciola e probabilmente presto avrà la febbre, ma grazie al tepore della stanza impregnata dei profumi della cena, e all’entusiasmo fanciullesco che la contraddistingue, nulla riuscirà a guastarle la festa.

I campanellini suonano all’improvviso, annunciando l’arrivo del padre che rincasa con un largo sorriso ad illuminargli il volto scavato dall’età. La piccola gli corre incontro per abbracciarlo e come un fiume in piena inizia a raccontargli concitata tutto ciò che è accaduto durante il giorno, costringendolo a lasciare a terra il sacco in cui ha raccolto la legna per il focolare, e a prenderla tra le braccia per farle il solletico e farla star zitta.
“Guarda papà! Dana ha comprato la carne per fare il piatto che piace tanto a te!”
La piccola dai capelli rossi corre a prendere un vassoio troppo grande per le sue ancora esili mani, e fissa l’anziana figura del padre con vivaci occhi azzurri pieni di tutta la limpidezza dell’innocenza. Immediatamente la raggiunge la figura snella ed allungata di Dana: si direbbe esser la madre della bimba, ma a guardarla bene il suo volto tradisce un’età precoce, con lo sguardo velato dall’aria triste di chi è dovuto crescere in fretta.
“Dana! Stasera la luna ricomincerà a crescere vero? Posso restare alzata un po’ di più per vederla? Posso, posso?”
Le mani della bimba tirano debolmente un lembo di gonna della sorella maggiore, e i suoi occhi imploranti non sembrano ammettere risposte negative.
Un lungo sospiro della ragazza più grande vuole farla stare sulle spine ancora un po’, ma è troppo difficile resistere al candido sorriso di un piccolo angelo fulvo.
“E va bene Lyra, ma voglio vedere se hai imparato per bene i nomi delle costell…” – nemmeno il tempo di finire la frase, che già la piccola le salta addosso per strapazzarla di baci.

Questa adorabile creatura piena di allegria ed ingenuità si chiama Lyra Shadowdale, ma tutti in paese la chiamano Mantodivolpe. Ha i capelli di un rosso acceso che contrastano con il pallore diafano della sua pelle delicata, e gli occhi azzurri di chi porta sempre con sé un pezzetto di cielo limpido.
Mantodivolpe è nata nel sottoportico di un’umile abitazione popolare nella periferia est di Semprinverno, in una notte di dicembre. Suo padre racconta che mentre tornava a casa quella sera si era soffermato ad ammirare sulla superficie liscia e specchiante del fiume la conchiglia argentata della luna, che coi suoi bagliori incantevoli gli aveva rapito il cuore.
Il racconto del padre è solito prendere pieghe favolistiche, e Lyra adora starlo a sentire, anche se entrambi sanno perfettamente come finisce la storia, così come sanno che non è possibile raccontarla in modo obiettivo, perché non esiste un modo obiettivo per ammettere che sua madre è dovuta morire in una notte tanto bella.
Si chiamava Lyradan, e se n’era andata sotto le stelle, lasciandola viva per portare il ricordo del suo nome.

Mantodivolpe è una ragazzina strana. Ha un sorriso contagioso e un cuore fin troppo grande per riuscire a credere che riesca a starle per intero nell’esile petto. Questo è tutto quello che di lei si potrebbe dire vedendola passeggiare insieme alla sorella in città nel giorno del mercato, tutto quello che si dovrebbe sapere e che risplende ben visibile come la faccia tonda della luna.
Ma come l’astro argenteo a cui Lyra è devota, anche lei serba qualcosa nelle ombre, un lato opposto della luna, una faccia buia necessaria a mantenere l’equilibrio. Considera l’esser sopravvissuta alla morte della madre come una maledizione, e forse una maledizione addosso ce l’ha davvero.

Ogni tanto, senza motivo, Mantodivolpe sviene. Nei momenti più impensabili, senza preavviso e senza motivo, cade in un profondo stato di sonno comatoso dal quale si risveglia poche ore dopo come se nulla fosse accaduto.
Non è particolarmente debole, o malaticcia, dato che i suoi cari hanno avuto premura di crescerla con un’alimentazione sana e costante. è solo che ogni tanto il suo corpo smette di muoversi, il frammento di cielo nei suoi occhi sparisce, e la sua mente si spegne, rifiuta il mondo, fugge in un sogno che rimane pur sempre senza memoria.

Quando Lyra aveva otto anni il padre si era imposto di mangiare soltanto patate ogni sera per riuscire a pagare un prestigioso medico di passaggio quella primavera a Semprinverno. Ma quando l’illustre dottore aveva visitato la piccola non era riuscito a far altro che sentenziare, lisciandosi i lunghi baffi, che doveva per forza trattarsi di cattiva alimentazione.
Ecco allora che non più solo il padre, ma anche la sorella, hanno dovuto iniziare una spiacevole dieta a base di patate per lasciare alla più piccola i cibi migliori. Tutto invano, ovviamente. Lyra non è mai guarita.
Lei non parla mai con nessuno di questo suo “problema”, e anche quando capita che qualcuno le chieda qualcosa, risponde come se non ne sapesse assolutamente nulla. La sua vita è una tela luminosa di quotidiani eventi semplici, forata qua e là da buchi neri di vuoto oblio.

Ormai ha quasi raggiunto l’età da marito, eppure ancora la sorella la tratta con estrema premura, vietandole di allontanarsi da sola e tenendola sotto stretto controllo, per evitare che possa succederle di fare quel suo scherzetto improvviso dello svenimento in qualche situazione pericolosa.
Più di tutto le è vietato andare nel bosco da sola. Ma Mantodivolpe ama gli alberi e la solitudine della foresta, e l’odore di terra bagnata e ascoltare il vento che canta tra le fronde. Ama anche la neve e il rumore che fa quando scricchiola sotto i suoi passi leggeri, ma può godere di tutto questo soltanto se Dana ha tempo di andare con lei.
Chi protegge una persona cara solitamente è disposto a tutto pur di evitare potenziali pericoli, ma quasi mai si domanda quale sia il prezzo da pagare per chi si trova nella gabbia dorata.
Ed è vero che Mantodivolpe è buona e adorabile, ma non per questo è sorda al richiamo della libertà.
Così ogni tanto esce la notte, molto tardi, quando tutti dormono. Ma soltanto se c’è la luna piena, perché è convinta che la sfera argentea che splende nel cielo la protegga, volgendo a lei il suo sguardo amorevole, e irradiando la terra di luce per guidare i suoi passi. E forse è davvero così, se ancora nessun male ha osato toccarla.

“Oggi passa il figlio del padrone di papà a portare la paga, quindi fila a pettinarti e mettiti il vestito buono.”
Dana è nervosa, come ogni volta che la monotona quiete familiare viene interrotta da qualche specialissimo evento. Di solito una volta ogni tre mesi arriva un uomo tozzo e senza alcuna bellezza, con una lunga barba ispida e dei vestiti da ricco, che dà qualche pacca sulla spalla al padre ringraziandolo per l’ottimo lavoro che svolge nei suoi campi. Poi spazzola via tutto quello che Dana ha preparato in tavola per accoglierlo in pompa magna, e infine lascia tra le mani del padre un sacchetto che tintinna.
Mantodivolpe si diverte immensamente ad osservare come la sorella si preoccupi di far bella figura davanti a queste persone, domandandosi di continuo cosa sia a rendere un uomo più importante di un altro.
“Chissà se anche il figlio è piccolo brutto e con la barba!” – esclama mentre corre in camera sua a prepararsi. Non si volta nemmeno verso la sorella, ma immagina perfettamente l’occhiataccia che le è stata rivolta.

Il rumore di zoccoli sul vialetto non tarda ad arrivare, e con immensa sorpresa della ragazza il figlio del padrone non è affatto come se l’era immaginato. Un giovane bello e slanciato scende da cavallo con un agile balzo e si presenta alla famiglia con tutte le cortesie che si addicono a chi ha ricevuto una precisa educazione borghese.
Mantodivolpe lo osserva con ancora più curiosità del solito, e non gli stacca gli occhi di dosso con l’irriverenza tipica di chi invece non sa cosa farsene delle convenzioni sociali. Lo trova bello, e questo è tutto quel che gli importa al momento.
Il consueto rituale della visita per la paga si svolge secondo la prassi, ed essendo ormai entrata ufficialmente nell’età “matura” anche Lyra è costretta ad aiutare la sorella nel servire il giovane ospite.
Peccato che il suo corpo decida di giocarle un brutto scherzo.

Mentre si avvicina col cesto di pane alla tavola imbandita, tutto d’un tratto il suo corpo và giù a peso morto. Il giovane aitante però è così rapido da prenderla al volo, ritrovandosi tra le braccia un viso angelico incorniciato da una folta chioma rosso acceso. Lei, colta dall’oblio, non si impegna certo per restar composta o per sorridergli gentilmente, eppure basta il suo delicato profumo ad inebriare il giovane che in pochi istanti si innamora di lei.
Quando Mantodivolpe si risveglia è notte fonda, e Dana veglia seduta al suo fianco.
“Che figura ci hai fatto fare, abbiamo dovuto inventarci un sacco di scuse. Per fortuna il Signorino Armand è stato molto comprensivo.”
Lyra si stropiccia qualche istante gli occhi, per poi stiracchiarsi nel letto e mugugnare verso la sorella: “Non capisco di cosa stai parlando…Non dovresti dormire?”
Un lungo sospiro della sorella maggiore è l’unica risposta possibile.
“Ah, a proposito, era carino il figlio del padrone. Spero di rivederlo!”

Nei giorni seguenti tutto scorre con l’incessante ritmo monotono della normalità, ma quando arrivano le prime nevicate gli svenimenti della ragazza si intensificano. Mantodivolpe inizia a sembrare insofferente pur senza averne apparente motivo, dato che per lei è come se nulla accadesse.
Poi arriva la luna piena e torna il cielo terso, e finalmente ecco spiegata l’angoscia: la voglia di evadere. Quando le tenebre calano Lyra sgattaiola fuori dalla sua stanza e percorre il sentiero che ormai conosce a memoria.

Nella quiete notturna il rumore del fiume la guida fino a trovarne la sponda che costeggia una radura illuminata dal chiarore lunare. La ragazza si china ed immerge una mano nello scorrere lento e placido del fiume che ama, così come si può amare quel che non si afferra eppure rimane scalfito nell’animo.
“Quante cose ti sei portato via, Semprinverno?” – Vorrebbe avere almeno un ricordo della madre per sentire la mancanza di qualcosa che non ha mai potuto amare, invece tutto ciò che i suoi occhi contemplano è un fiume, senza colpe e responsabilità, senza una volontà propria. Un fiume che ha continuato a scorrere negli anni, annegando tutto ciò che non ha saputo opporsi al suo perenne fluire.
Lentamente la superficie increspata dal gesto della ragazza torna ad essere immobile e liscia, riflettendo le sagome scure degli alberi ritagliate dalla luce lunare. E tra gli alberi, qualcos’altro.

Quando Lyra si volta un musetto di volpe fa capolino dietro un cespuglio. Non una volpe qualsiasi, di quelle che ha visto di tanto in tanto avvicinarsi agli allevamenti dei vicini. Una volpe tutta bianca, come se avesse fatto un bagno di luna.
Una creatura di una bellezza rara, con due occhi scuri pieni di cose non dette e impossibili da comprendere. Due occhi quieti e bui, che riflettono il bagliore lunare e impediscono alla ragazza di sostenere lo sguardo. Lei che solitamente divora il mondo con  occhi curiosi, ora non riesce a guardare e si sfrega la faccia come fa chi non crede a ciò che vede per poi ricontrollare se il mondo è ancora là.
Ma la volpe non c’è più, e Lyra si convince di aver sognato.

Il giorno dopo Armand torna a trovare l’umile famiglia di contadini. Arriva senza preavviso, e Dana per poco non sviene togliendo il privilegio alla sorella. Stavolta sembra ancora più curato, come se si fosse messo in testa di fare a tutti i costi bella impressione, e la prima cosa di cui si interessa è sapere dov’è Lyra.
Si ferma sì e no una mezzora, mangia un po’ di pane e conversa con la fanciulla, poi sale sul suo cavallo bianco e se ne va così com’è venuto.
Una volta, poi un’altra, e avanti così fino a farne un rito settimanale.

Lui è un ragazzo dolce e gentile, lei invece non è una ragazza come tutte le altre. Il corteggiamento la lusinga, ma in cuor suo sente di non potergli esser devota.
Non appena la luna è abbastanza luminosa nel cielo, Lyra torna nel bosco, nella stessa radura. E Biancomanto è lì ad aspettarla, con i suoi occhi bui e il suo pelo splendente. Non ha paura stavolta, e le cammina intorno come se volesse dirle qualcosa.
A Lyra sembra quasi di poter presentire la limpida oscurità che avrebbe la sua voce se solo potesse parlare, e il calore incontrollabile che la pervederebbe se solo potesse accoccolarsi a lui. Ma appena lei allunga la mano verso l’animale, questo fugge nel buio della foresta senza lasciar traccia.

Le notti seguenti Mantodivolpe torna a cercarlo, e ogni volta la volpe bianca si lascia ammirare fintanto che la ragazza rimane immobile e in silenzio, e lentamente cresce in Lyra la consapevolezza di aver trovato qualcosa di incredibilmente bello, qualcosa che vale più di ogni altro spettacolo che potrà mai vedere.
Poco a poco realizza quanto spietata è la bellezza, che nel momento della sua manifestazione massima preclude la possibilità di esser in altro modo felici.

Quando la luna calante impedisce alla ragazza di uscire la notte, la sua insofferenza torna a crescere a dismisura. Null’altro le sembra realmente importante, e la mancanza di sonno aumenta la frequenza dei suoi svenimenti, tanto che il giovane innamorato inizia a sospettare che sia un trucco che lei usa per farlo desistere dal corteggiamento.
Un giovane rampollo, per quanto gentile e premuroso, ha pur sempre un orgoglio da difendere, e non può tollerare il rifiuto di una ragazza di così umili origini.
Il confine tra amore e gelosia non è difficile da calpestare, e quando una notte la vede uscire di casa da sola non esita a seguirla. Già gli ribolle il sangue nelle vene figurandosi quel che potrebbe trovare, ma quando si accorge che Lyra non ha colpe né vergogne, in un attimo tutta la rabbia svanisce e la voglia di amare una fanciulla tanto bella e rara torna a dilaniargli il petto.
Un’illuminazione lo coglie mentre osserva da lontano la ragazza nella radura, e questa volta è convinto che riuscirà definitivamente a conquistarla.

Il giorno seguente Lyra è seduta in giardino, intenta ad intrecciare ghirlande con le prime candide margherite che fioriscono annunciando la primavera. Il suo innamorato arriva baldanzoso ancor prima dell’ora stabilita, portando sottobraccio una scatola in legno intagliato.
“Oggi voglio dimostrarti che posso donarti tutto ciò che il tuo cuore desidera…” – e nel pronunciare queste parole porge lo scrigno alla ragazza. Questa si alza compostamente, sistema la lunga gonna spiegazzata con un rapido gesto decoroso, e portando con sé una ghirlanda fiorita si avvicina a lui, abbassa lo sguardo sullo scrigno ed indugia.
“Aprilo…non sei curiosa?” – il tono del giovane è impaziente e quasi trionfale. Lyra lancia ancora un rapido sguardo al volto di lui, e cogliendo il barlume vivace nei suoi occhi si decide a sorridergli e ad aprire la scatola.
Nell’interno foderato in seta rossa è riposto un capo ripiegato con estrema premura. Candido, come le mani della ragazza che esitano ad allungarsi verso quel pelo morbido.
“E’ uno scialle per te, mia adorata. Realizzato con il pregevole manto di un animale molto raro…”
Lo sguardo della ragazza si svuota d’un tratto di tutto l’azzurro che ha sempre avuto, sprofondando in un una vacuità disperata che il ragazzo riesce a intravvedere solo per un attimo.
Perché poi Lyra sviene, e per la prima volta in vita sua lo fa per un motivo.

La luna si veste di buio e poi torna a splendere tre volte prima che Mantodivolpe riesca ad alzarsi dal letto. “Una febbre ignota” – sentenzia il medico, quando dopo esser rimasta assopita per tre giorni di fila la ragazza riapre gli occhi. è solo l’inizio di una lunga degenza che la vede così debole da non riuscire quasi a muoversi. Non parla, non guarda nessuno, non sembra volersi ristabilire. Il suo viso invecchia d’un tratto risultando scavato e smunto, i suoi capelli imbiancano nel giro di poche settimane.
Quando torna in forze e ricomincia a camminare, Armand ha già rinunciato a lei, attirato dall’avvenente bellezza di altre ragazze più facili da conquistare. Anche Dana sembra invecchiata, oberata dal peso delle preoccupazioni nei confronti di quel giovane fiore appassito di cui aveva giurato di prendersi cura.

Non parla più con nessuno Lyra, ma con evidente testardaggine cerca di ricominciare a camminare, come se qualcosa le balenasse nella mente e le donasse la forza di ricominciare. Una sera, prima di andare a dormire si avvicina alla sorella, e con un filo di voce pronuncia le sue prime parole dopo tanto silenzio: “Ha continuato a scorrere Semprinverno?”
La sorella non può capire, ma gioisce nel vedere i progressi della ragazza e le dà la buonanotte con un lungo abbraccio. Non può sapere che sarà l’ultimo.

E’ una notte senza luna, il cielo è limpido come se il nero potesse essere puro e l’oscurità avvolgente.
La ragazza che un tempo era Mantodivolpe esce nell’oscurità, come una nottambula in cerca di un sogno perduto.
Ripercorre la strada nel bosco seguendo il richiamo del fiume, incurante del fatto che Biancomanto non sarà là ad aspettarla. La sua figura esile è divorata dalla notte mentre il vento soffia leggero tra i suoi capelli come un ladro nell’oscurità.
Quando arriva alla radura la chioma candida della ragazza brilla per pochi istanti, anche se non vi è alcuna luce lunare. Solo allora la sua maledizione le concede di addormentarsi per l’ultima volta, lì, nel luogo in cui aveva trovato tutto ciò per cui era valsa la pena vivere.

Oggi tutti conoscono lo spiazzo circolare dove Semprinverno curva verso nord col nome di “Radura Biancomanto”: gli abitanti delle città vicine, i contadini vecchi e giovani, i viandanti, e gli stranieri ai quali vengono fornite informazioni per attraversare il bosco.
Alcuni affermano di aver visto una volpe bianca aggirarsi nei pressi del fiume nelle notti di luna piena, e leggenda vuole che sia lo spirito protettore del luogo in cui una giovane contadina un giorno è stata trovata morta.
Ma cosa può sapere la gente del vero Biancomanto? La volpe dagli occhi bui non l’hanno conosciuta mai.
Tutto ciò che rimane è un’ombra di luna sull’ignaro fiume che sempre scorre.

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